Gabriele Accattoli

 

art. 580 Codice penale – istigazione o aiuto al suicidio

Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima…..

In un precedente articolo avevo presentato questo disposto del Codice Penale, oggi lo ripropongo perché il caso che vado a presentare potrebbe trovare una valutazione investigativa, nonché una risposta di giustizia compatibile con questa previsione di reato.

 

Il caso che vi voglio raccontare, è quello che ha avuto come epilogo finale, la morte all’età di 58 anni di Guido Conti, avvenuta il 17 novembre 2017 sul Monte Morrone, lungo la strada che da Sulmona porta a Pacentro.

Guido Conti era un Ex Generale dei Carabinieri Forestali, già Ufficiale del Corpo Forestale dello Stato, Comandante Distrettuale di Avezzano e Sulmona, Capo del Nucleo Investigativo dell’Aquila, Comandante Provinciale di Pescara, Comandante Regionale dell’Umbria, Coordinatore del Parco Velino Sirente, docente e Comandante Battaglione Allievi nelle Scuole Cittaducale e Sabaudia.

Guido Conti – Guardia Forestale

Una brillante carriera nel Corpo Forestale dello Stato poi continuata dopo l’assorbimento dello stesso nell’Arma dei Carabinieri, autore di svariate pubblicazioni tecniche. All’età di 48 anni era stato nominato Commendatore della Repubblica per meriti speciali, fu il primo Ufficiale del Corpo Forestale dello Stato al quale Legambiente consegnò il premio Ambiente e Legalità.

Guido Conti era molto conosciuto per le indagini che aveva condotto, con brillanti risultati come quella della mega discarica più grande d’Europa ed acqua avvelenata a Bussi (PE), l’inchiesta denominata “Mare Monti” inerente strade fantasma in Abruzzo, l’inchiesta sul G8 all’Aquila, l’inchiesta denominata “Cabina di Regia”, che portò all’arresto di diverse persone, tra le quali l’ex presidente del Consiglio Regionale d’Abruzzo. Inchieste ed indagini interessanti, portate avanti con diligenza e passione, ma scomode, troppo scomode, che presentavano agli occhi di tanti il Generale come un eroe, ma per altri un pericoloso nemico.

La sera del 17 novembre 2017, intorno alle ore 20.50, una pattuglia dei Carabinieri della stazione di Pacentro, Sulmona, rinviene nelle immediate vicinanze della strada provinciale, lungo una strada secondaria della stessa, chiusa al traffico, sul Monte Morrone, il cadavere di Guido Conti. Lo stesso giace a terra bocconi, con la parte anteriore del corpo rivolta a terra, con il braccio destro sotto al torace, con la mano destra che impugna una pistola semiautomatica cal. 9. Dai rilievi sul cadavere si evince un’unica lesione lacerocontusa all’altezza della tempia destra del capo, compatibile con il foro d’entrata di un colpo di arma da fuoco.

croce sul luogo dove è stato trovato il cadavere di Guido Conti

Dai riscontri investigativi, tecnici e di criminalistica, effettivamente, i dubbi sulla dinamica dell’evento sono pochi, ovvero, abbondante presenza di residui dello sparo sulla mano destra, due lettere di saluto e scuse rinvenute nell’autovettura parcheggiata in prossimità del rinvenimento del cadavere, la posizione del cadavere e la mancanza di altre tracce che possano evidenziare una colluttazione, portano a ritenere, con sufficiente probabilità, che si sia trattato di suicidio.

Però, con molte probabilità, la cosa non è così semplice, altri elementi molto particolari, strane circostanze e dubbie interpretazioni, fanno emergere dei quesiti sulla volontarietà del gesto che potrebbe rivelarsi come indotto o istigazione, nonché, ipotesi molto remota, ma sempre valutabile, che sia per opera di terzi, quindi omicidio.

Tra i diversi elementi che più avanti andrò ad analizzare ce ne sono quattro che rappresentano un interesse particolare, più un quinto che al momento era stato evidenziato, e sinceramente non capisco il perché, poi accantonato. Partendo da quest’ultimo, era stato annotato nei rilievi del personale giunto sul posto, che la pistola semiautomatica presentava il cane armato, arrivando a ritenere, qualcuno, che questa cosa era anomala in caso di suicidio; probabilmente chi aveva fatto questa valutazione o osservazione, auspicandomi che non sia stata opera delle Forze di Polizia, non conosceva le armi da fuoco. Per una pistola semiautomatica è normale che il cane resti armato dopo lo sparo, è una conseguenza meccanica e specifica dell’arma, quindi il cane armato non rappresenta alcuna anomalia per la dinamica.

omaggio dei colleghi carabinieri durante il funerale di Guido Conti

Gli altri quattro, invece, sono diversi e doverosi di attenzione. Nelle immediate vicinanze del cadavere era stato rinvenuto un mozzicone di sigaretta, e se la cosa è stata osservata, ritengo perché probabilmente Conti non era un fumatore, quindi la presenza di quel mozzicone poteva rappresentare la dimostrazione che qualcuno era lì con lui.  Al momento non sono riuscito a trovare gli esiti dell’indagine che i RIS dei Carabinieri hanno condotto per l’isolamento del DNA da quel mozzicone, probabilmente l’indagine scientifica non è stata ancora conclusa. L’altro elemento interessante emerge da testimonianze di abitanti della zona, i quali avrebbero riferito che nella giornata del 17 novembre, nelle vicinanze del rinvenimento del cadavere e lungo la strada chiusa al traffico, avrebbero visto un’autovettura Porsche Cayenne bianca. La predetta autovettura non era mai stata vista prima e non apparteneva ad un abitante della zona. Il terzo elemento è la posizione del cadavere sicuramente anomala, anche se tutto ci può stare. Non è facile decretare con assoluta certezza che la posizione bocconi, faccia a terra, non sia compatibile con il suicidio, però di norma, o quanto meno per statistica, dopo il colpo autoinflitto, vuoi per la forza meccanica del rinculo dell’arma, vuoi per una quasi logica perdita dell’equilibrio con la spinta del colpo esploso, la caduta dovrebbe avvenire verso dietro e la normale posizione dovrebbe essere con la schiena adiacente al suolo, quindi “supino”. Ancor più strana è la posizione del braccio che, essendo aperto verso l’esterno per effettuare lo sparo, in fase di caduta dovrebbe rimanere nella stessa posizione, quindi esterna al corpo. L’ulteriore elemento è una terza lettera che, a differenza delle due rinvenute nell’auto, è stata spedita ed il destinatario, sconosciuto alle indagini, non l’ha mai resa nota.

Per la lettera, altrimenti non si comprende come si sia arrivati alla terza non trovata, devo precisare che dalla ricostruzione delle ultime ore di vita di Conti, è stato accertato che lo stesso si è recato in una tabaccheria dove ha comperato tre lettere ed un solo francobollo; all’interno dell’autovettura si sono rinvenute solo due lettere, mentre della terza e del francobollo non c’era traccia. Da qui si deduce, con evidente alta possibilità, che la terza lettera sia stata spedita per posta.

Questi che ho elencato, sono degli elementi di indagine che necessiterebbero un approfondimento più completo che potrebbero rilevare altre o diverse letture della vicenda, come le lettere per i familiari. Da queste si evince il gesto volontario e che la “presunta” motivazione dello stesso, sia il rimpianto per non aver fatto abbastanza ed il senso di colpa per le 29 morti a seguito della valanga che aveva investito l’Hotel Rigopiano di Farindola (PE), il 18 gennaio 2017.

Rigopiano

In effetti, durante la sua attività di Comandante a Pescara, aveva avuto a che fare con le licenze, autorizzazioni e prescrizioni rilasciate all’Hotel Rigopiano, ma la sua opera istituzionale per quell’accaduto era del tutto marginale ed apparentemente ininfluente nelle indagini per la sciagura. Quando Conti lavorò a Pescara per la pratica dell’Hotel Rigopiano non era pensabile e valutabile una valanga, e gli abusi edilizi risalgono ad un periodo dove lui non lavorava più in Abruzzo.

Invece, nelle lettere, non cita assolutamente l’incarico che aveva assunto poco prima e solo dopo 15 giorni dal conferimento aveva dato le dimissioni. Guido Conti, una volta lasciata l’Arma dei Carabinieri, era stato assunto dalla Multinazionale Total, con il delicato incarico dirigenziale di responsabile ambiente e sicurezza per il sito estrattivo di petrolio e derivati in Basilicata, nel progetto “Tempa Rossa”.

Petrolio: Total, il sito di Tempa Rossa in Basilicata

Questa è un’altra situazione da valutare con molta attenzione; solo dopo 15 giorni dall’assunzione, dopo una prima riunione con i vertici, sembra in Questura a Potenza, e pochi giorni prima della morte, Guido Conti rinuncia all’incarico e presenta le dimissioni. La cosa deve far pensare, una persona ligia al dovere come lui, amante della tutela ambientale, guerriero per la tutela ambientale, dopo soli 15 giorni lascia una multinazionale che poteva essere, anche economicamente, la svolta della propria vita. Perché ha fatto questa scelta? Cosa l’ha spinto ad abbandonare tutto? Cosa aveva scoperto o capito che non andava bene? L’unica cosa che si può dire è che Conti, dopo la riunione in Questura, era l’8 novembre 2017, confidò di sentirsi abbandonato dai suoi amici in divisa, in particolare dal padre di un suo compagno di corso che, da quel giorno non gli rivolse più la parola.

A complicare ancora più la questione, è un fitto traffico telefonico che Conti ha generato nei giorni antecedenti il rinvenimento del cadavere, nonché quel giorno stesso.

Dai tabulati telefonici delle utenze di Conti risultano essere state fatte telefonate, e ricevute, da utenze non meglio identificate, nonché ad altre utenze ben identificate, un collega della Polizia di Stato, un Colonnello dell’Arma dei Carabinieri ed il Comando Unità Tutela Forestale di Roma, nonché chiamate in entrata, reiterate, da parte di un Generale dei Carabinieri.

Il dubbio, la domanda, è perché tutte queste chiamate concentrate in quei giorni antecedente la morte? Cosa doveva o voleva dire Conti agli interlocutori? Cos’è che assillava Guido Conti?

Su richiesta dei familiari si sono riaperte le indagini, concentrate proprio sul traffico telefonico, sulla Porsche Cayenne bianca, e sulla posizione del cadavere, però, ad oggi, non conosco l’esito.

In tutta sincerità, ritengo che dimostrare il reato di “istigazione al suicidio” sia veramente tanto difficile, non è una cosa semplice che necessita di tante prove e riscontri, in particolare per dimostrare il “dolo”, ovvero la volontà del reo di spingere la vittima al suicidio. Arrivare con certezza, al di sopra di ogni ragionevole dubbio a dimostrare: “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio” come recitato dall’articolo del Codice Penale, non è cosa semplice, anzi, molto difficile, dove è richiesta tanta oculatezza e perseveranza, la forza e la volontà di andare a rovistare nel torbido, in ambienti scomodi, quindi troppo spesso potrebbe essere più comodo prendere delle scorciatoie “è un caso semplice, si tratta di suicidio…….”

Dalla vicenda della morte di Guido Conti, secondo me, si poteva prendere spunto per altre indagini, altri accertamenti, forse proprio quelli che Conti voleva fare e trovando ostacoli insormontabili, magari, l’ha spinto al suicidio, sempre se di suicidio si tratta…….

 

I morti di Rigopiano

Prendo spunto dalla lettera lasciata ai familiari, dove in merito alle morti dell’Hotel Rigopiano aveva detto “potevo fare di più”; la lettura che è stata data a quella affermazione è che si sentiva in colpa perché all’epoca della sua attività per le concessioni all’Hotel, avrebbe potuto fare di più, ma la lettura potrebbe essere vista anche da un’altra angolazione. Erano in corso le indagini per stabilire le responsabilità sull’accaduto, probabilmente lui si stava impegnando per fare chiarezza, non gli mancavano sicuramente le capacità, la conoscenza della materia e conosceva la pratica, ma non facendo più parte delle Forze di Polizia ha cercato di coinvolgere altri per portare avanti le indagini e dare giustizia alle vittime. Non ci è riuscito, forse gli interessi di terzi andavano oltre le sue possibilità e la sua caparbietà, gli hanno chiuso le porte in faccia, come confida lui stesso “sono stato abbandonato dai miei amici in divisa” e lo sconforto l’ha portato a dire che avrebbe potuto fare di più, non in fase preventiva per le autorizzazioni, come si è paventato, ma in fase successiva alla disgrazia in seno alle indagini.

Anche questa vicenda è ricca di contraddizioni, sospetti e circostanze poco chiare, la certezza iniziale del suicidio ha portato, come quasi sempre accade, ad indagini chiuse troppo frettolosamente ed a sottovalutare o non considerare affatto altre circostanze degne di approfondimento.

Accattoli Gabriele

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1 commento

  1. I reati ambientali vengono considerati troppo spesso reati minori. Invece così non è. Inoltre vorrei ricordare che il Corpo Forestale dello Stato in genere non ha gradito molto il fatto di essere stato assorbito dall’Arma dei Carabinieri.

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