Oggi, dopo un anno come il 2022, considerato l’anno più siccitoso dell’ultimo secolo, il tema dell’acqua è di grande attualità. Una grande attenzione c’era stata anche nel giugno 2011 in occasione del referendum sull’acqua, ma dopo la fiammata di quelle settimane, tutto si era spento e, nonostante l’esito del referendum, erano poi riemerse le iniziative a favore della privatizzazione. L’acqua, invece, è e deve restare un bene comune; e con il cambiamento climatico lo dovrà essere ancora di più. Ma senza la pressione della società civile sarà difficile che ciò avvenga.

Le tematiche collegate all’Acqua sono complesse e molteplici:

1) – L’acqua è uno dei principali benefici forniti al genere umano dagli ecosistemi naturali e quindi è uno dei principali servizi ecosistemici.

2) – L’acqua è un comparto che comprende non solo l’attività di depurazione e la gestione delle reti idriche, ma anche la manutenzione degli invasi, con i problemi e le difficoltà che tale gestione e tale manutenzione comportano.

3) – L’acqua è un bene comune e un diritto umano universale, come è stato riconosciuto da una risoluzione delle Nazioni Unite nel 2010 che ha definito “l’acqua come un diritto essenziale alla vita e alla fruizione di tutti gli altri diritti umani”. Questa definizione che nel 2015 è stata ripresa e ribadita nell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco: l’accesso all’acqua “è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale”, perché “è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani”.

4) – Infine, l’acqua è un sistema ambientale complesso che richiede quindi non solo una profonda conoscenza del ciclo dell’acqua, ma anche un approccio non settoriale, ma di sistema.

Una logica di sistema. Gestire il territorio con una logica di sistema è indispensabile per una lunga serie di motivi e in particolare: A) per evitare lo spezzettamento delle competenze (come purtroppo avviene in Italia); B) per evitare consumi eccessivi e sprechi di una risorsa sempre più limitata: in Italia si consumano 245 d’acqua pro capite, circa il doppio della media europea; C) per ridurre la dispersione dell’acqua: le reti idriche italiane hanno perdite intorno al 40 per cento, mentre in Europa non si supera la media del 15 per cento; D) per stoccare una quantità maggiore dell’acqua da pioggia: riusciamo a immagazzinarne soltanto l’11 per cento, un risultato addirittura inferiore a quello di 50 anni fa, quando eravamo al 14 per cento; E) per evitare gli effetti catastrofici a livello territoriale di una cattiva gestione delle acque, in particolare alluvioni e frane. F) per ridurre l’inquinamento dei fiumi e dei mari: come è noto, da anni l’Italia è stata condannata dall’Europa a pagare 60 milioni di euro all’anno perché non depura l’acqua di fogna che viene scaricata nei fiumi (lo fanno anche alcuni Comuni marchigiani). G) Infine, per realizzare il reimpiego dell’acqua di depurazione che viene gettata in mare senza essere riutilizzata: uno spreco che a breve potrebbe portare a una nuova condanna dell’Unione Europea.

Un territorio fragile. Le Marche sono una regione fragile: e non solo per i molti terremoti (a sei anni dall’ultimo dei quali la ricostruzione è ancora soltanto agli inizi), ma anche per il gran numero di catastrofi provocate dal dissesto idro-geologico. La fragilità non caratterizza solo le Marche, ma l’intero territorio della Penisola italiana. A rendere fragile il territorio marchigiano e ad aumentare il rischio idrogeologico sono sia il carattere torrentizio dei fiumi che si gettano in Adriatico, sia la composizione argillosa delle colline che dominano nel paesaggio regionale. Questa fragilità nel corso del tempo è cresciuta per effetto di alcuni interventi dell’uomo.

Nella storia della regione, gli interventi dell’uomo hanno provocato due gravi crisi ambientali: la prima si è verificata tra gli ultimi decenni del ‘500 e gli inizi del ‘600; la seconda si è verificata quasi due secoli dopo, tra la metà del ‘700 e gli inizi dell’‘800. Tutti i dati disponibili dimostrano che stiamo ormai vivendo la terza crisi ambientale.

Le due crisi del passato sono state superate evitando le monocolture, rivestendo le colline con un altissimo numero di arbusti ed alberi allineati in filari di viti paralleli e garantendo un costante controllo delle acque tramite una capillare rete di fossi, mantenuti sempre puliti.

Su questi territori fragili, negli ultimi sessanta anni si sono abbattuti processi di grandi dimensioni: la meccanizzazione dell’agricoltura, l’esodo montano, la riduzione delle terre coltivate, la rinuncia al controllo delle acque e alla pulizia dei fossi; una agricoltura praticata sempre più con tecniche da rapina e l’affermarsi del contoterzismo hanno provocato il progressivo ritorno alla monocoltura e all’arativo nudo con l’eliminazione dei filari e di ogni pianta che potesse ostacolare il lavoro delle macchine. Le mutate pratiche agricole, spesso guidate soltanto dalla ricerca del profitto immediato, hanno posto le premesse per una nuova crisi ambientale.

Il consumo di suolo. Negli stessi decenni si è avuta una forte crescita del consumo di suolo, ben al di sopra della crescita demografica. Questo è avvenuto soprattutto per effetto di una urbanizzazione disordinata e non governata, cioè non pianificata come invece si è fatto in altri Paesi europei: l’urbanizzazione ha investito terreni agricoli e paesaggi di pregio, zone di pianura e zone a forte pendenza e anche aree esposte a rischio idrogeologico (nel caso delle Marche, ad esempio, gli edifici costruiti nelle aree esondabili). Sono stati ristretti e cementificati i letti dei fiumi (il Tronto e il Misa sono gli esempi più clamorosi), costruendo nelle aree di pertinenza degli alvei fluviali. Tutto questo, oltre a inquinare le falde acquifere, ha aumentato a dismisura il dissesto del territorio regionale; il dissesto idrogeologico, che a livello nazionale interessa circa il 10 per cento della superficie complessiva, nel caso delle Marche tocca oltre il 16 per cento della superficie regionale.

La terza crisi di oggi. Intanto il cambiamento climatico sta provocando eventi estremi con conseguenze sempre più drammatiche. Quanto accaduto nella valle del Misa nel settembre 2022 lo conferma. Il cambiamento climatico sta esasperando i fenomeni di dissesto; ma gli eventi estremi diventano catastrofici anche per causa nostra: per l’incuria delle amministrazioni locali, per la mancata manutenzione del territorio, per l’assenza di interventi di prevenzione (ad esempio le casse di espansione nel caso dei fiumi), per gli investimenti volti unicamente a ottenere profitti immediati, per la mancanza di progettualità sostenibili nel lungo periodo.

È in atto una terza crisi ambientale che sta portando il territorio regionale al collasso, ma non ne siamo pienamente consapevoli e non agiamo di conseguenza. Ai disastri ambientali continuiamo a rispondere con la logica dell’emergenza, aspettando il prossimo disastro.

Che fare? Siamo di fronte a problemi complessi, ma le indicazioni sul che fare oggi, ricavate dagli studi dei maggiori esperti di questi temi, risultano chiare. 1) È urgente bloccare il consumo di suolo; 2) È necessario porre un freno all’abusivismo e costruire sul costruito; 3) Occorre puntare sulla prevenzione dei rischi; 4) Occorre investire sulla manutenzione del territorio; 5) Infine, è indispensabile affrontare i problemi ambientali con una logica di sistema.

In conclusione: per affrontare l’attuale crisi ambientale tre sono le azioni necessarie: A) Serve un forte e convinta azione dello Stato. Le strategie di fondo per affrontare la questione ambientale spettano allo Stato. Compiti così complessi non possono essere affidati ai Comuni (che non sono in grado di gestirli) e forse neppure alle Regioni, che spesso si sono dimostrate inadeguate allo scopo. B) L’esperienza degli ultimi decenni ci ha insegnato che non basta approvare buone leggi. Le buone leggi non vengono applicate o vengono aggirate se non ci sono cittadini e amministratori locali convinti e consapevoli. C) Per questo è fondamentale puntare, oltre che sull’azione dello Stato, anche sulla diffusione di una maggiore cultura ecologica.

Di fronte al rischio imminente di un nuovo e traumatico collasso ambientale, oggi queste appaiono le uniche strade percorribili. Nella diffusione di una maggiore cultura ambientale è fondamentale il ruolo della Scuola, ma serve anche una maggiore pressione dei cittadini e della società civile. Ecco un nuovo compito per le Acli delle Marche.

Centro Studi Acli Marche – Febbraio 2023

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