Una spinta alla “resurrezione” dell’Afghanistan potrebbe arrivare dalle donne, che per questioni religiose e culturali hanno vissuto finora in condizioni difficili. Lo scenario che si prospetta è quello di un nuovo conflitto civile, ma questo non vuol dire che il Paese non si può salvare, soprattutto se l’Occidente riuscirà ad aiutare le forze più dinamiche della società afghana a emergere”.

Padre Giuseppe Moretti commenta così ad AsiaNews la decisione degli Usa di ritirare le proprie truppe dall’Afghanistan entro l’11 settembre, anniversario degli attacchi lanciati alle Torri gemelle e al Pentagono da al-Qaeda. Il religioso è stato fino al 2015 cappellano all’ambasciata italiana e responsabile della Missio sui iuris dell’Afghanistan.

La decisione del presidente Usa Joe Biden mette fine a 20 anni di presenza statunitense sul suolo afghano. Tra la fine del 2001 e gli inizi del 2002, subito dopo gli attentati dell’11 settembre, Washington e le forze dell’Alleanza del nord (formata in prevalenza da tagiki e uzbeki) hanno rovesciato il governo talebano, che da anni dava ospitalità e protezione alla leadership qaedista.

Secondo la maggior parte degli osservatori, i talebani approfitteranno del ritiro di Washington per riconquistare il potere. I colloqui di pace con il governo afghano, parte dell’accordo sulla smobilitazione dei militari Usa, non hanno raggiunto alcun risultato. Il rischio è che esploda un conflitto civile a tutto campo, dato che anche l’esecutivo è diviso tra la fazione pashtun del presidente Ashraf Ghani e quelle che fanno riferimento agli “ex signori della guerra” tagiki, uzbeki e hazara.

P. Moretti fa notare poi che gli stessi talebani non sono un blocco unico: “Non è sicuro che vi sarà unità al loro interno, come tra loro e gruppi estremisti come al-Qaeda e il ramo locale dell’Isis”.

Per il sacerdote barnabita, che ha vissuto quasi 30 anni in Afghanistan, dopo il ritiro delle truppe la domanda da porsi per Stati Uniti, Nato e Unione europea è che cosa si può fare per evitare il ripetersi della storia: una situazione conflittuale come accaduto dopo l’uscita dei sovietici dal Paese nel 1989.

“L’alternativa – dice p. Moretti – deve essere di natura sociale. Bisogna incrementare tutte quelle iniziative che possono giovare alla popolazione, come preparare una nuova classe politica, capace di governare il Paese nel modo più ‘democratico’ possibile”. La necessità è quella di costruire più scuole, più strutture sanitarie e di creare condizioni che garantiscano opportunità di lavoro: “Qualcosa è stato fatto da noi occidentali negli ultimi 20 anni, anche da parte dei soldati italiani, ma serve un impegno maggiore in questa direzione”.
Un elemento che non ha aiutato gli sforzi di ricostruzione è il fatto che Usa e Nato hanno concentrato le loro forze nei centri urbani: “Il cuore del Paese, le aree rurali, ha sentito solo l’eco della presenza straniera”, spiega p. Moretti.

Il religioso è convinto che l’Afghanistan può avere però un futuro: “Sono esseri umani, dopo più di 40 anni di guerre, con ogni famiglia che deve piangere un proprio caro, desiderano un cambiamento”. Secondo p. Moretti, oltre alle donne un’altra forza sostanziale sono i giovani, soprattutto grazie all’aiuto dei moderni mezzi di comunicazione.

“Tra la popolazione – conclude il sacerdote – prevale la volontà di pace, ma vi è tanta paura per il ritorno dei talebani”.

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2 commenti

  1. I Talebani torneranno perchè il ritiro di Isaf in realtà è la loro vittoria. Di conseguenza l’assetto sociale verrà decisamente condizionato e in questo quadro il ruolo delle donne, per quanto cresciuto in questi decenni di presenza militare straniera (che tra l’altro ha portato anche alla costituzione di unità militari femminili), verrà fortemente ridimensionato, perchè tornerà l’egemonia culturale di stampo islamico con tutte le implicazioni nella vita quotidiana, nel lavoro, nella istruzione, nelle relazioni. Se qualche “resistenza” sarà possibile nelle città maggiori, nulla invece avverrà nei villaggi del Panshir, alle pendici dell’Hindukush e in tante altre zone periferiche e il dramma ultradecennale dell’Afghanistan continuerà

    • Purtroppo lei ha ragione, mi auguro che tutte le donne europee facciano sentire tutto il loro peso politico ed economico ( non so bene come, ma dovrà pur esserci qualche modo) per condizionare aiuti e rapporti con l’Afghanistan al rispetto dei diritti delle donne. Dove sono andate a finire tutte le campagne per le donne condannate a morte in Iran per esempio? O per le principesse segregate o scomparse ( pensate cosa ne sarà delle donne comuni) in Arabia Saudita? Forse a queste ultime ci pensa Renzi.

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