È con immenso rammarico che in questi giorni assistiamo alla divulgazione a mezzo social e finita addirittura sulla stampa locale, di una vicenda rispetto alla quale, oltre a descrivere situazioni non corrispondenti a verità, viene gettato fango sull’operato di chi con cura, abnegazione e professionalità si fa carico ogni giorno di persone fragili, come quelle affette da disabilità.  Ad essere così vergognosamente attaccato, senza prima aver svolto la benché minima verifica sui fatti citati, è il nostro Centro di Riabilitazione, il Villaggio delle Ginestre di Recanati.

Fondato nel 1970 ad opera delle figlie di S. Maria della Divina Provvidenza (Opera Don Guanella), il Centro è un ente accreditato dal Servizio Sanitario della Regione Marche ed eroga prestazioni riabilitative in regime residenziale, semiresidenziale ed ambulatoriale, a persone affette da disabilità fisica e psicofisica con l’obiettivo di potenziarne le abilità residuali e migliorarne il più possibile la qualità della vita. Attraverso un progetto individualizzato, condiviso con il servizio sanitario pubblico del territorio, in un contesto dove la relazione con l’operatore diventa lo strumento elettivo per il raggiungimento degli obiettivi terapeutici, ogni giorno il personale laico e quello religioso con competenza tecnica e passione si adoperano affinché la persona affetta da disabilità possa crescere in autonomia e benessere emotivo. Questo è quello che accade da 50 anni al Villaggio delle Ginestre e questo è quello che ha caratterizzato l’attività quotidiana di chi vi opera anche durante questo lungo periodo di emergenza sanitaria, che tanto ha sconvolto il mondo intero.

A marzo scorso, infatti, in ottemperanza alle direttive regionali, alla sospensione dei servizi ambulatoriale e semiresidenziale, è corrisposta l’interruzione temporanea dei rientri in famiglia per i pazienti residenziali, rendendo di fatto impossibile per i familiari avere contatti diretti con i propri congiunti disabili per diversi mesi. Le famiglie ovviamente hanno potuto scegliere se mantenere la permanenza al Centro o sospendere la presa in carico residenziale, consapevoli di ciò che la brusca interruzione del processo riabilitativo avrebbe comportato sul quadro clinico funzionale della persona ed edotte sul fatto che non sarebbe stato possibile prevedere né la data né la modalità di rientro.  Su 33 famiglie soltanto 3 hanno scelto di sospendere la frequenza al Centro, mentre 4 purtroppo erano già a casa in quei giorni e non è stato possibile farle rientrare, tutte le altre, ovvero ben 26 famiglie, hanno affidato i loro cari alle nostre cure anche in un momento così drammaticamente delicato. Non lo hanno certo fatto con leggerezza, né tanto meno con incuranza, tutt’altro, hanno vissuto con ansia e trepidazione la lontananza dai loro cari, supportati quotidianamente dai contatti telefonici con il nostro staff specialistico, rincuorati dalle videochiamate con i pazienti e rassicurati dal fatto che lo stato di salute dei propri cari al Villaggio erano buono.

Possiamo infatti asserire con orgoglio che il rispetto di tutte le procedure attuate ha fatto sì che al Villaggio delle Ginestre dall’inizio della pandemia ad oggi non si sia registrato nessun caso di covd-19.

Non solo, chi suo malgrado o chi per scelta è rimasto a casa, non è stato di certo abbandonato; anche per loro sono stati intensificati i contatti telefonici per un supporto psicologico o sociale a distanza, sono stati mantenuti vivi i rapporti con i servizi sanitari e sociali territoriali, perché i pazienti a casa potessero essere monitorati più da vicino e ricevere, laddove possibile, servizi alternativi per un sollievo alle famiglie. E questo è quello che è successo anche nel caso che tanto ha fatto clamore. Veniamo per l’appunto alle fasi successive all’emergenza.

Il nostro Centro sta riaprendo gradualmente i propri servizi, cercando di conciliare il diritto, di chi è fuori, ad essere riaccolto e curato con il diritto, di chi è rimasto dentro, ad essere protetto e salvaguardato. Non è facile. La normativa impone procedure giustamente severe e rigide atte a scongiurare il rischio di contagio, fra queste c’è l’obbligo di quarantena. Anche laddove, per i soggetti più gravi ed incompatibili con un regime di isolamento, come ad esempio le persone affette da autismo, possa essere derogata, non è ben chiaramente sancito quale sia la procedura di rientro più conforme a tutelare lo stato di salute di pazienti e operatori. Ciò che è indiscusso è che, anche in questa specifica condizione, ovvero il reingresso in struttura, va ideato un progetto individualizzato che tenga conto di fragilità e bisogni del paziente e della sua famiglia, ma anche della compatibilità del quadro clinico del singolo con una vita comunitaria.

Non è questa la sede per affrontare la specificità di ogni singola situazione, non lo è per legge né tanto meno per etica professionale e personale.  Sebbene l’humana pietas, implicita nel nostro operato quotidiano, ci inviti ad un moto di compassione per chi in uno stato di sofferenza prolungato arrivi a perdere la visione oggettiva della realtà, non possiamo riservare la stessa comprensione per i molti che con superficialità e pregiudizio, si sono lascati andare a commenti di ogni genere, approfittando dell’inarrestabilità della comunicazione virtuale.  Ad essere stata lesa non è soltanto l’immagine di un Ente che fonda la sua esistenza sulla cura ed il benessere dell’altro, ma la dignità di chi vi opera con dedizione, di chi vi si rivolge con fiducia e di tutte quelle persone fragili e bisognose che al Villaggio delle Ginestre non hanno trovato solo una risposta sanitaria ed assistenziale ma una seconda famiglia.

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