Esce in questi giorni Alberto Bevilacqua. Materna parola (Il Rio Edizioni), il nuovo libro del narratore, poeta e critico marchigiano Alessandro Moscè.

 Perché un libro su Alberto Bevilacqua?

Intanto va precisato che non si tratta di un libro casuale. Ho frequentato a lungo Bevilacqua. Sono stato spesso a trovarlo, è venuto nelle Marche, che amava, dove gli è stata assegnata l’onorificenza alla carriera nel Premio “Città di Fabriano”, da me ideato e diretto. Se ne è andato a 79 anni, nel 2013, dopo una breve malattia. Bevilacqua nell’attico di Vigna Clara, a Roma, da dove si vede la “città eterna” nella maestosità di tetti e dismisure, scriveva tutti i giorni dalle prime ore del mattino. Un quartiere, nella zona nord della capitale, che è come un piccolo paese, in cui quattro passi bastano alle cerimonie mattutine: comprare i giornali e bere il primo caffè. Mi disse che negli anni Sessanta acquistò la casa in uno dei punti più alti di Roma da un americano che aveva ucciso la moglie. E’ stato molto amato dal suo pubblico. Bevilacqua rimane uno degli scrittori italiani di maggiore qualità, peraltro tra i più venduti, dal dopoguerra ad oggi. Tra i capolavori basterebbe ricordare La Califfa e Questa specie d’amore. Non vanno dimenticati il poeta e il regista cinematografico. Bevilacqua era un uomo buono, generoso, un editor che leggeva voracemente di tutto e dava consigli preziosi. Ci sentivamo tutte le settimane al telefono, l’ho spesso intervistato su varie tematiche.

Quali sono gli aneddoti più singolari che si leggono in queste pagine?

L’episodio più curioso è quello in cui fece un regalo alla madre, infatuata da Charlot, portandoglielo in casa. Charlie Chaplin era arrivato in Italia per visionare alcuni luoghi dove ambientare La Contessa di Hong Kong per conto del produttore De Laurentiis. I due erano dalle parti di Parma. Bevilacqua gli fece strada verso la sua casa, che si trovava nelle vicinanze. Sua madre lo aveva portato, da piccolo, alle comiche, e indicandogli Charlot col bastoncino, gli aveva ripetuto che quell’omino era un genio. La donna rimase lì, a bocca aperta, dapprima senza riconoscere il grande interprete. Era a disagio perché il figlio le avevo introdotto in casa un estraneo senza averla avvertita. Muoveva le mani per aggiustarsi il vestito peggiore, che indossava quando nessuno la vedeva. Charlot le accarezzò una guancia. Nel libro ci sono i grandi incontri di una vita: Paolo VI, Romy Schneider, Tognazzi, Antonio Ligabue, Sciascia, Borges, Ionesco, Quasimodo, Montanelli, Buzzati, Gabriel Garcia Marquez ecc.

Che cosa è rimasto meno conosciuto della vita di Alberto Bevilacqua?

Il mio lavoro, una biografia a tutti gli effetti, è anche quadro critico e tematico della poetica di Alberto Bevilacqua, sospesa tra i luoghi, l’esilio, l’eros, i sogni, la cosmologia. La sua vocazione era rivolta principalmente al ricordo, specie quando intrecciava la storia personale, durante e dopo la seconda guerra mondiale, con la grande storia, che in tutte le opere segna un tratto distintivo: l’Italia della provincia, delle famiglie, del disagio sociale, dei rapporti d’amore, ma anche l’aspetto pubblico, segnato da vicende note o sconosciute. Si pensi al Triangolo Rosso, alle famigerate guerriglie che nacquero dopo il 1945 e che si protrassero a lungo nel Paese, specie lungo il Delta del Po, dove ex partigiani ed ex repubblichini continuavano a spararsi a bruciapelo con odio e rancore. A volte si sparava senza sapere neppure chi venisse giustiziato dentro un cascinale o lungo l’argine del Po. Fu questa storia sotterranea, accertata in prima persona durante le scorribande in bicicletta da ragazzo, che gli costò la censura fino al 2000, anno della pubblicazione di La polvere sull’erba, la cui prova autoriale venne in parte pubblicata da Leonardo Sciascia nel 1955.

Lo scopo finale del libro consiste nel tentativo di una riscoperta di Alberto Bevilacqua?

Alberto Bevilacqua deve essere rimesso in circolo editorialmente, perché le sue opere non si trovano quasi più. Anche ad altri scrittori è successo di essere dimenticati dopo la morte. Parliamo di un autore che ha attraversato il Novecento raccontando i cambiamenti storici, epocali di un paese intero. Bevilacqua era molto versatile. Spiegò che il segreto alter ego del narratore è pro­prio il poeta, una sorta di compagno che gli dava la sensa­zione di intervenire quando il narratore ne aveva bisogno e quando il poeta chiamava. sconfessando la falsa considerazione che poesia e romanzo siano armati l’uno contro l’altro. Spero senz’altro che questo libro contribuisca a rivalutare Bevilacqua come merita.

 

Alessandro Moscè è nato ad Ancona nel 1969 e vive a Fabriano. Si occupa di letteratura italiana. Ha pubblicato varie raccolte poetiche, tra cui si ricorda Hotel della notte (Aragno 2013, Premio San Tommaso D’Aquino). E’ presente in varie antologie e riviste italiane e straniere. I suoi libri di poesia sono tradotti in Francia, Spagna, Romania, Venezuela, Stati Uniti, Argentina e Messico. Ha pubblicato i romanzi Il talento della malattia (Avagliano 2012), L’età bianca (Avagliano 2016) e Gli ultimi giorni di Anita Ekberg (Melville 2018, finalista al Premio Flaiano). Ha dato alle stampe antologie di poeti italiani contemporanei e saggi critici come Luoghi del Novecento (Marsilio 2004). Si occupa di critica letteraria su vari giornali e quotidiani, tra cui “Il Foglio”. Ha ideato il periodico di arte e letteratura “Prospettiva” e dirige il Premio Nazionale di Narrativa e Poesia “Città di Fabriano”. www.alessandromosce.com.

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