La triste storia non ha avuto una grande rilevanza sulla cronaca nazionale, ma una trattazione più o meno pressante in quella locale, in fondo il territorio maceratese è sempre un pochino trascurato; solo ultimamente la trasmissione di Rai 3 “Chi l’ha visto?” ha parlato di questa storia.
La vicenda che ha visto come vittima la giovanissima Claudia Bartolazzi si è ribattuta tra l’archiviazione per suicidio, disposta dalla Procura di Macerata, e l’ipotesi di omicidio premeditato sostenuta dall’avvocato che rappresenta la famiglia della giovane defunta.
Mentre per gli altri casi che ho trattato fino ad oggi sono andato avanti senza tanti problemi, in tutta sincerità, per questo ho avuto all’inizio un blocco. Quando ho letto il nome della vittima sul commento al mio articolo non avevo focalizzato l’evento, poi però andando a fare una prima ricerca fugace per capire di cosa si trattasse, con un po’ di stupore misto a dispiacere, ho realizzato che quel fatto era stato seguito per la parte di competenza, i rilievi di Polizia Scientifica, dai miei colleghi, quando ero ancora in servizio alla Scientifica di Macerata, e dai colleghi della Squadra Mobile per il prosieguo delle indagini. Di fatto non avevo mai partecipato alle indagini, ma avevo avuto, comunque, occasione di visionare il fascicolo dei rilievi tecnici.
Prima di continuare, non per scusare o assolvere qualcuno, è doverosa una precisazione, poi ognuno tragga la propria conclusione; per il tipo di organizzazione interna alla Polizia di Stato, il settore Polizia Scientifica e quello investigativo non fanno parte dello stesso ufficio e la Polizia Scientifica non partecipa direttamente alle indagini di Polizia Giudiziaria, ovvero si limita a produrre la propria attività di rilievi tecnico/scientifici, rilievi di criminalistica, fa da supporto tecnico alle indagini, poi produce il fascicolo dei rilievi tecnici all’ufficio investigativo che d’iniziativa o su delega del Pubblico Ministero titolare delle indagini, prosegue con gli accertamenti investigativi.
Di fatto, quindi, tutte le attività di indagine che sono andate oltre i rilievi tecnici sulla scena del crimine, in quel caso, ma come in genere su tutti, non sono passate per l’ufficio dove prestavo servizio, quindi eventuali sviluppi, se conosciuti, erano solo per curiosità personale e non per partecipazione diretta.
Quando ho iniziato a rileggere le notizie per parlare con voi della storia, negli articoli e presentazione della vicenda, ho notato dei “buchi” che non so se siano effettivamente veri o se non riportati dalla stampa, magari perché non a conoscenza.
Non ritenendo opportuno contattare i miei vecchi colleghi, in fondo parliamo sempre di indagini riservate coperte da segreto d’ufficio, e non volendo mettere in difficoltà nessuno, ho ritenuto necessario contattare l’avvocato della famiglia Bartolozzi al quale avrei voluto chiedere delle spiegazioni, delucidazioni, riguardo le attività di indagine difensive, dei riscontri dei Consulenti Tecnici di Parte, avrei voluto chiedere se avevano anche loro osservato quei buchi secondo me presenti, in definitiva, lui avendo in mano sicuramente tutti gli atti processuali, mi avrebbe aiutato a scrivere un articolo più preciso, ma purtroppo, l’Avvocato ad oggi non ha mai risposto ai miei tentativi di contatto.
Quindi porto avanti la mia presentazione della triste vicenda, come ho fatto sempre, basandomi sui riscontri giornalistici, dando la mia lettura della vicenda, indicando quello che, secondo me, si sarebbe dovuto fare, valutare ed approfondire, pur sapendo che, forse, quello che io osservo poi di fatto è stato eseguito a suo tempo ma a noi non è dato a sapersi.
Non mi dilungo oltre, riguardo la presentazione di Claudia Bartolozzi mi limito a dire che aveva 33 anni, lavorava come infermiera presso l’ospedale di Macerata, da pochi mesi aveva avuto la separazione consenziente dal matrimonio con un uomo del posto con il quale aveva avuto due bambine. Dopo la separazione, con le bambine affidate al marito, nel pieno e sereno consenso di Claudia, così dicono i familiari e l’ex marito, Claudia aveva comperato un appartamento in un quartiere di Macerata, e proprio per i buoni rapporti rimasti con l’ex marito, era stato proprio lui ad aiutarla per ritinteggiare le pareti delle stanze.
Secondo i familiari Claudia aveva serenamente superato la sua separazione, che, tra l’altro, era stata lei a volere ed ottenere, era serena, aveva una sua nuova abitazione, un lavoro che le piaceva, e da poco un nuovo compagno del nord Italia, ovvero, un calabrese che per motivi di lavoro si era trasferito a Verona. In definitiva una ragazza piena di vita, soddisfatta della sua posizione, con tanti progetti da portare avanti. Nulla lasciava pensare che esistessero i presupposti o le motivazioni per poter decidere di togliersi la vita, condizione confermata anche da colleghe di lavoro intervistate per la trasmissione di Rai 3.
Una solo vicenda, avvenuta pochi giorni prima del decesso avrebbe potuto scatenare una sorta di problematiche personali, ma in tutta franchezza personalmente ritengo che la questione sia stata troppo amplificata; se così non fosse, forse si sarebbero dovute vedere altre ipotesi di studio. Ma cosa era successo? Il Dottore del reparto in cui lavorava Claudia l’aveva invitata a coprirlo con la moglie per una sua scappatella extraconiugale, invitandola a riferire, qualora contattata, che la sera prima l’avevano passata insieme. La chiamata della moglie del medico non tardò ad arrivare, ma Claudia non se la sentì di mentire, riferendo alla donna che la sera prima suo marito non era stato con lei. La moglie del dottore si reca all’ospedale ed all’interno del reparto dove lavorava Claudia ed il dottore, mette in atto una “piazzata” che richiama l’attenzione di tutti i presenti nel reparto ospedaliero. Visto quanto avvenuto, la Capo Sala del reparto dove Claudia prestava servizio, non si sa se d’iniziativa o per disposizioni superiori, mette la stessa in ferie forzate. Qui abbiamo il primo inghippo tecnico, se si considera l’evento come scatenante per una drastica scelta per addivenire al suicidio, sarebbe stato il caso di approfondire meglio le eventuali responsabilità sulle scelte adottate per una apparente “punizione” di Claudia, ritenuta rea, colpevole, di aver detto la verità e di non aver ceduto all’invito per coprire con bugie ed inganno un suo superiore gerarchico. Ovviamente se così stanno le cose. In caso contrario se la questione è stata solamente gonfiata, chiacchiere di corridoio, il fatto va inquadrato in un piano enormemente inferiore.
Ma visto che gli organi di stampa hanno dato un interessante risalto alla vicenda, è doveroso chiedersi se questa disavventura sul posto di lavoro può essere un motivo scatenante per togliersi la vita. Fatto sta che due giorni dopo, era il 29 ottobre 2009, Claudia viene trovata morta.
Qui ho il secondo blocco di valutazione, in 33 anni di servizio nella Polizia Scientifica sono intervenuto per eseguire i rilievi tecnici in tantissime occasioni dove persone si sono tolte la vita, impiccagione, sparati, gettati nel vuoto, vene tagliate, ma credetemi, il metodo attribuito ad atto volontario messo in essere da Claudia, lascia veramente a bocca aperta.
Secondo la ricostruzione proposta dalle testate giornalistiche, mentre Claudia rientrava a casa, in auto, lungo una strada sita in zona rurale, Contrada Alberotondo, alle 5.45 del mattino, si sarebbe fermata lungo la carreggiata del suo senso di marcia, si sarebbe cosparsa di benzina e si sarebbe data fuoco.
Elemento stranissimo, il suicidio, se premeditato, potrebbe assumere le sembianze di un rito, e quello di Claudia, se di suicidio si trattasse, è senza dubbio premeditato, se non fosse per il fatto che andava in giro con una tanica di benzina nell’auto; la ritualità di un ipotetico gesto non può, secondo me, trovare riscontro nell’aver fermato l’autovettura nel mezzo della strada ed aver appiccato il fuoco, sarebbe stato più plausibile se l’auto era parcheggiata a limite della strada o, meglio ancora in un punto appartato, una rientranza della banchina, ma lì nel mezzo della carreggiata è proprio molto, molto strano.
Anche qui la ricostruzione presentata dagli organi di stampa è frammentaria e contraddittoria, una volta si dice che tornasse dal lavoro, a fronte di una presunta forzata collocazione in ferie, da un’altra parte si dice che non si sa da dove veniva, dove era stata, il motivo di quell’uscita e chi avesse incontrato.
Contrada Alberotondo è una strada che interseca la Strada Provinciale Potentina che da Macerata, rione Della Pace, conduce al comune di Montelupone, non ha di certo nulla a che fare con il normale percorso che dall’ospedale di Macerata si dovrebbe fare per raggiungere il rione Della Pace, dove la donna abitava. Facendo un percorso molto articolato e lungo, passando per strade di campagna, si potrebbe anche andare dall’ospedale al rione della Pace passando per contrada Alberotondo, si dovrebbe percorrere via Pancalducci, quella del Cimitero che da Macerata scende a Piediripa, poi prendere contrada Morica, che si interseca con contrada Alberotondo, per poi arrivare alla Pace, in definitiva un percorso minimo cinque volte più lungo di quello normale.
Poco attendibile la provenienza dall’ospedale, però una risposta, forse, più precisa si poteva avere dal cellulare, ovvero dal tracciato dell’aggancio delle celle telefoniche, non so se questo è stato fatto, i giornali non ne parlano, lasciando sempre nel dubbio la provenienza di Claudia.
Le posizioni dell’ex marito e del nuovo compagno sembrano scagionare pienamente una loro responsabilità per l’accaduto. L’ex è pienamente scagionato da riscontri effettivi ed il compagno, alle ore 1,57 era in zona Verona/Mantova, stando alle celle telefoniche agganciate dal suo cellulare, ed alle ore 9.15, da stesso riscontro era al nord Italia, non ci sono tempi tecnici per scendere a Macerata e poi risalire.
Il caso è difficile, sono tanti gli interrogativi ai quali non si riescono a dare risposte certe, come ad esempio la questione inerente il liquido infiammabile utilizzato. Accertamenti merceologici della Polizia Scientifica sui residui combusti dell’autovettura avrebbero potuto dire con estrema precisone di che liquido si è trattato, è stato fatto? Ho letto in un trafiletto che il personale indagante ha fatto degli accertamenti al distributore di benzina del Rione della Pace, presumo per verificare dalle riprese delle telecamere l’eventuale acquisto da parte di Claudia di carburante in un contenitore portatile, sicuramente non c’è stato un riscontro positivo, altrimenti sarebbe stato detto alla stampa. Però un dubbio, anche qui viene naturale, ottimo intuito esaminare le telecamere di quel distributore, ma perché solo quelle di quel distributore? Perchè non di tutti i distributori di carburante, compresi quelli riscontrabili a Montelupone, comune dal quale la contrada Alberotondo viene?
Sembra, e sottolineo il sembra, dai riscontri della Polizia Scientifica sulla scena del crimine, nell’autovettura, non sarebbe stato trovato un elemento idoneo ad individuare il contenitore combusto dove era stato messo il materiale infiammabile, è evidente che questo elemento potrebbe dire se l’incendio è stato provocato dall’interno, volontariamente, o se qualcuno dall’esterno ha versato il liquido.
Altro elemento poco chiaro, secondo l’ex marito di Claudia la stessa assumeva antidepressivi, dagli accertamenti nell’abitazione della vittima non sono stati ritrovati farmaci. Ciò non significa che l’ex marito non dicesse la verità, ma anche qui sarebbe stato il caso di approfondire, è stato sentito il medico di famiglia per accertare lo stato di salute di Claudia e verificare l’ipotetica prescrizione di antidepressivi?
Altro elemento, da tenere in considerazione, è la data del fatto, ovvero 29 ottobre, coincidente con l’anniversario di matrimonio tra Claudia e l’ex marito. Anche questo aspetto, volendo o meno, potrebbe dare degli indirizzi intuitivi sulla vicenda. E’ difficile poter dare un giudizio, se quella data è stata occasionale, oppure, se premeditata e scelta.
Ho lasciato alla fine l’elemento clou della vicenda, il riscontro principe per la Procura per il quale si è proceduti ad archiviazione per suicidio è il biglietto di saluti e scuse rinvenuto nell’abitazione di Claudia. Il biglietto, vergato a mano, senza firma e senza data, recita: “Chiedo scusa a tutti, vi voglio bene”, è stato posto a perizia di tipo calligrafa, secondo il perito incaricato dalla Procura quel biglietto è stato scritto da Claudia, quindi di conseguenza atto volontario, suicidio.
Non è dello stesso avviso però il perito di parte, secondo il quale, a seguito della sua perizia calligrafa, il biglietto non è stato scritto da Claudia, indicando precisamente i parametri di confronto per i quali si è arrivati a quella conclusione. In più, secondo il legale della famiglia Bartolozzi, la perizia svolta dall’incaricato della Procura avrebbe utilizzato per il confronto calligrafico del materiale diverso da quello sequestrato dalla Polizia ed indicato dallo stesso legale.
Qui si complica il tutto, abbiamo di fronte una prima archiviazione dopo soli 15 giorni dall’accaduto, e dopo dieci anni, alla riapertura del caso su richiesta del legale di parte, in altri 15 giorni si è tornati ad archiviare, trattasi di suicidio.
Personalmente ritengo che i due periti, quello della Procura e quello di parte, siano dei bravi e seri professionisti, non li conosco, non ho dubbi, però è evidente, che uno dei due sbaglia, ha sbagliato la perizia, e come è possibile stabilire chi ha sbagliato se non si è, magari, ricorsi ad una terza figura tecnica?
Sono sempre stato dell’opinione che la giusta affermazione “al di sopra di ogni ragionevole sospetto”, applicabile per condannare, deve, dovrebbe, essere applicata a tutto, sia in fase di giudizio che in fase di indagini, ma probabilmente, evidentemente così non è stato.
Poteva essere utilizzato un altro mezzo per rafforzare l’una o l’altra tesi dei periti, il riscontro dattiloscopico sulla presenza di impronte sul biglietto, è stato fatto?
Non ho trovato nessun cenno su tale accertamento di criminalistica, ne da parte del legale ne da nessuna altra parte, eppure secondo me avrebbe potuto dare delle conferme rafforzanti a tutte e due le parti. Certamente, sul cadavere della povera Claudia sarebbe stato difficile, se non impossibile, assumere le impronte per un confronto dattiloscopico, ma i mezzi di ricerca, in mancanza di meglio, si potevano trovare, tenete presente che le impronte su materiale cartaceo si conserva per anni, e sicuramente tra i documenti o altro, a casa di Claudia si poteva raccogliere qualcosa, sui mobili, oggetti vari, qualsiasi cosa che Claudia avrebbe potuto toccare durante la normale vita quotidiana, se non addirittura quaderni di scuola, diari, ripeto, sulla carta le impronte restano per anni.
Mi dispiace dirlo, ma ritengo che forse con troppa fretta si sia arrivati ad una definizione della vicenda senza approfondire accertamenti d’indagini sia tecnico/criminalistico che di pura investigazione; non voglio dire che non si è saputo lavorare, ma sicuramente l’influenza data dalla convinzione premeditata del “suicidio” non ha dato la possibilità o la fermezza di andare oltre ad approfondire altri aspetti, o tutti gli aspetti.
Come ho detto in tanti altri articoli, sembra voler essere deprimente o deplorevole dire che non si tratta di suicidio ma i riscontri in possesso non riescono a dare una risposta certa al fatto criminoso “al di sopra di ogni ragionevole dubbio”, creare quindi quel famoso “cold case” caso freddo, senza procedere ad archiviazione restando in attesa di un futuro riscontro che possa dare nuove risultanze. Ma per dare un “colpo al cerchio ed uno alla botte” come si suol dire, se dalla parte investigativa si è proceduto con troppa velocità e magari con la dovuta oculatezza o desiderio di scavare, le indagini difensive, sempre stante a quanto riportato dagli organi di stampa e dalle interviste rilasciate, non ha poi brillato in approfondimenti, ha sì focalizzato tanto sulla perizia calligrafa, ma non sembra essere andata oltre in accertamenti di parte, indagini di parte in seno al “giusto processo” o richieste di approfondimento verso altri settori investigativi, come sopra ho presentato. Però ribadisco, purtroppo non posso sapere quello che è stato fatto veramente e quanto è stato fatto veramente, la stampa ha riportato solo le indicazioni che ho esaminato e che tutti hanno letto.
Concludo con una circostanza strana, una strana coincidenza, così hanno detto, dopo 48 ore dalla morte di Claudia, due giorni dopo, a circa tre chilometri di distanza, in località Trodica di Morrovalle, più o meno allo stesso orario, con le stesse modalità, un’altra auto andava a fuoco con all’interno un ragazzo di cittadinanza Indiana che moriva come era morta Claudia, anche in quel caso la vicenda fu chiusa ed archiviata come suicidio. Non ci sono riscontri che possono far valutare conoscenza tra le due vittime, o qualsiasi altro elemento che possa condurre le due persone decedute verso una corrispondenza di qualsiasi tipo, però, permettetemelo, strana coincidenza.
Saluto i lettori ed avventori del sito radioerre.it, rinviando per un nuovo articolo a lunedi prossimo.
Accattoli Gabriele
2 commenti
Grazie per l’articolo così dettagliato ma pacato, che informa ma non “inzuppa il pane” nel sangue. Non mi spiego il comportamento dell’avvocato della famiglia, forse è stanco di non essere ascoltato, forse far riaprire le indagini e procedere a ulteriori perizie costa troppo. Purtroppo in Italia la giustizia è un lusso per ricchi, basta pensare al caso Cucchi. Però, a costo di lanciare una raccolta fondi, se c’è in giro un assassino (come io credo) questo va assicurato alla giustizia o quantomeno non deve essere lasciato tranquillo, deve avere il fiato sul collo, forse se si sente braccato può fare un passo falso. Mi risulta che in ambito ospedaliero la raccolta di notizie sia stata abbastanza superficiale, procedere a nuovi interrogatori oggi potrebbe essere utile perchè tante reticenze potrebbero essere cadute.
Molto opportuno parlare dei casi dubbi del nostro territorio, senza tralasciare quelli di rilevanza nazionale. Complimenti a lei e a Radioerre che la ospita. Non è curiosità morbosa ma l’esigenza di fare tutto il possibile perchè il nostro territorio sia un po’ meno criminale. Finito il tempo del maceratese isola felice, è la pressione dell’opinione pubblica e dei media che spesso induce le Procure a continuare le indagini. Pensiamo solo al caso di Elisa Claps.