Prima di scendere nella presentazione nell’ambito delle indagini di Polizia Giudiziaria e di riflesso, quindi, collegare il tutto all’aspetto delle indagini di criminalistica e valutazioni di criminologia, intendo fare delle premesse.
L’avevo già detto in un precedente articolo che, per mia tara mentale, ho sempre avuto l’impressione che dietro ad un caso trattato, o peggio ancora archiviato, come suicidio
Poi, per terminare le premesse, abbiamo un altro aspetto molto particolare e sentito. Difficilmente un familiare accetta che il suo prossimo abbia volutamente messo fine alla vita, ed è naturale, tanto quanto comprensibile, assistere ad esternazioni che rifiutano di credere ed accettare quella che potrebbe essere la realtà delle cose cercando di scaricare su altri le eventuali responsabilità. Per dolore? Per paura? Perché non si ha il coraggio di ammettere che non si è riusciti a capire il disagio del familiare e correre ai ripari? I motivi sono tanti; invito, per questo aspetto, a leggere il romanzo “La figlia silenziosa” scritto da “Sarah A. Denzil”, pubblicato da “Newton Compton Editori”.
Fatta questa lunga premessa entriamo nell’ambito del discorso visto sotto un punto di vista di criminologia e criminalistica, ovvero, come forse si è compreso sopra, con l’intento di andare ad approfondire casi di suicidio famosi e particolari dove, forse, la chiusura del caso “per suicidio” potrebbe apparire, magari sbagliando, azzardata, inopportuna o frettolosa per addivenire con certezza, come la legge recita “al di sopra di ogni ragionevole dubbio”, per stabilire se il gesto estremo sia stato volontario o omicidio «mascherato» o istigato.
I casi dove io mi feci degli interrogativi sospetti, sono diversi, uno dei più famosi è quello del banchiere Roberto Calvi; Implicato nel crack del Banco Ambrosiano, viene trovato
Interessante, per le tante incongruenze nelle indagini, è il caso di Sergio Castellari. Ex commissario di Polizia, poi direttore generale degli affari economici del ministero delle Partecipazioni statali quando era Ministro Giulio Andreotti; consulente Eni e coinvolto nella maxi tangente “Enimont” che ha dato origine a “tangentopoli – mani pulite”. Castellari scompare il 18 febbraio 1993, dopo qualche giorno i suoi familiari ricevono lettere in cui Castellari annuncia i suoi propositi suicidi. Il suo corpo viene trovato una settimana dopo, nelle campagne di Sacrofano (Roma), deceduto per un colpo di pistola al cranio; il revolver viene rinvenuto come se riposto nella cinta dei pantaloni, con il cane armato (poi più avanti ne parleremo), tra le gambe del cadavere viene trovato un sigaro, con tracce di saliva appartenenti ad una donna, e vicino ad un fianco una bottiglia di whiskey consumata a metà, priva di impronte digitali.
A seguire, il 20 luglio dello stesso anno del decesso di Castellari, è la volta di Gabriele Cagliari, presidente Eni, anche lui coinvolto nella vicenda Enimont. Era stato arrestato a marzo dello stesso anno e detenuto in carcere; viene trovato morto sul pavimento del bagno della sua cella con una busta di nylon sulla testa e legata intorno al collo, l’ispezione cadaverica stabilirà che sul suo viso sono presenti ecchimosi compatibili con una colluttazione.
Passano solo tre giorni dalla morte di Cagliari quando Raul Gardini si spara con un colpo di pistola alla tempia mentre è disteso sul letto della sua abitazione. Raul Gardini è la persona chiave, il testimone di eccellenza dell’inchiesta Enimont e della maxi tangente ad essa riferita. Nella stanza, però, non si ritrovano residui di polvere da sparo e, sentite un po’, la pistola con cui si dovrebbe essere sparato viene ritrovata appoggiata sulla scrivania a diversi metri dal letto, priva di impronte, nemmeno quelle del presunto suicida.
Tre suicidi, tre eventi così catalogati, avvenuti nell’arco temporale di circa cinque mesi, che hanno visto come “protagonisti” tre testimoni chiave della stessa inchiesta, l’inchiesta “madre” di mani pulite-tangentopoli; strana coincidenza.
Ma i casi “strani” non si fermano qui, nel 1995 muore in circostanze misteriose, poi tutto archiviato dalla Procura come suicidio, Mario Ferraro, 46 anni, tenente colonnello del
Possiamo continuare con il caso derubricato come suicidio di Adamo Bove, 42 anni, ex poliziotto e responsabile della security governance di Telecom Italia. Era il 20 luglio 2006, all’incirca le ore 12, l’uomo ferma la sua autovettura a margine della carreggiata e si getta dal cavalcavia di via Cilea, nel quartiere del Vomero, Napoli, andando a schiantarsi, dopo un volo di circa venti metri, sulla tangenziale sottostante, morendo sul colpo. Il Bove, in qualità di dirigente security governance di Telecom Italia, era indagato per violazione della privacy per aver «spiato» alcune persone attraverso una rete informatica e coinvolto, pare, anche nel “Laziogate”, per ricordare l’episodio giudiziario, il Laziogate è il presunto scandalo che, dal 2005, vide coinvolti il presidente della Regione Lazio, Francesco Storace, il suo portavoce ed il Direttore dei sistemi informativi Regionali. Adamo Bove non aveva mai manifestato intenti suicidi, non sono state trovate lettere o messaggi per parenti e conoscenti, e questa particolarità ha sempre alimentato la tesi dell’omicidio o, quanto meno, del suicidio istigato, ma questo non è mai stato dimostrato.
La lista dei casi sospetti non termina qui, possiamo ricordare Renzo Rocca, direttore dell’ufficio per la Ricerca economica e industriale del Sifar, il Servizio di informazione delle Forze Armate, per conto del quale finanziò l’istituto Alberto Pollio. Poco prima di essere interrogato dalla Commissione Parlamentare di inchiesta, fu trovato morto nel suo ufficio, con un colpo di pistola alla tempia. Interessante fu l’accertamento tecnico di criminalistica, il “guanto di paraffina” che non rilevò tracce di polvere da sparo sulle mani di Rocca. Nonostante ciò, però, caso fu archiviato come suicidio.
Per carità, tutto quello che ho detto non vuole significare che ci siano stati errori, volontari o causali, non vuole dire che ci sia stata malafede, non vuole dire niente, o forse tanto. Ma quello che mi preoccupa di più, riprendendo il discorso iniziale, che se oggi parliamo di questi casi, lo facciamo perché, comunque, sono stati collegati a casi e fatti di cronaca nazionale, cose conosciute, ma quanti altri sconosciuti suicidi, o come tale archiviati ci saranno stati? Attenzione, esistono, purtroppo, anche i veri suicidi, anzi, saranno senza dubbio i più, la maggioranza, però c’è un detto che, se pur lasciando il tempo che trova, propone una riflessione “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si prende”.
Il tutto, ovviamente, riferito alla tematica dei riscontri sulla scena del crimine, dell’importanza degli stessi e delle attività di criminalistica, condizione che, a quanto pare e come
vedremo nei prossimi articoli, non è stata affrontata con la dovuta attenzione o, peggio ancora, cercando di contrapporre un dato, un riscontro, “scientifico” a valutazioni prettamente personali senza fondamento probatorio.
Come ho detto sopra, nei prossimi articoli, scenderò nel dettaglio dei casi, andando a presentare quella che è stata l’attività di riscontri tecnici e ricostruzione dei casi, partendo dai tre suicidi del caso “Enimont”, ovvero, Sergio Castellari, Gabriele Cagliari e Raul Gardini, però, devo svelare un elemento, ho aperto l’articolo citando l’esclamazione “Una storia semplice”, beh, non l’ho buttata là a caso, c’è una precisa motivazione che però oggi non vi dico, vi lascio in suspence…….il prossimo articolo ripartiremo da qui.
Accattoli Gabriele
1 commento
Bellissimo!!!