Oggi apro un discorso molto particolare, il suicidio, con l’intento di allacciare questo brutto atto della vita dell’uomo all’attività del criminalista o criminologo.

            Prima di scendere nella presentazione nell’ambito delle indagini di Polizia Giudiziaria e di riflesso, quindi, collegare il tutto all’aspetto delle indagini di criminalistica e valutazioni di criminologia, intendo fare delle premesse.

            L’avevo già detto in un precedente articolo che, per mia tara mentale, ho sempre avuto l’impressione che dietro ad un caso trattato, o peggio ancora archiviato, come suicidio possa essere latente l’ipotesi di un omicidio o di un’istigazione “Una storia semplice”. L’omicidio sappiamo tutti cosa è, l’istigazione, reato spesso passante in sordina, invece è previsto dall’art. 580 del Codice Penale che recita “Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima….” Ho sempre ritenuto che troppo spesso è più semplice archiviare un caso come suicidio senza andare a scavare, percorso difficile, tortuoso e magari inutile. Purtroppo è brutto pensare che sia preferibile chiudere un caso, indicandolo come suicidio, piuttosto che riconoscere che si tratti di un omicidio non potendo individuare l’autore, o peggio avendo paura di individuare l’autore o mandante, quindi di conseguenza creare un cd “cold case” caso freddo e lasciarlo lì appeso al nulla in attesa di qualcosa; sembra deprimente per alcuni, non professionale, non dare una risposta concreta quando invece, se pur frettolosamente, il caso si possa ritenere chiuso. Ricordo che in tanti anni di servizio alla Polizia Scientifica, quando arrivava in ufficio la richiesta del nostro intervento ed al telefono il collega diceva “…..è stato rinvenuto un cadavere, è un suicidio, serve il vostro intervento….” la cosa mi mandava su tutte le furie; partire nell’attività d’indagine con il pregiudizio iniziale che si trattasse già di suicidio, per me, andava e va ad inquinare un giusto approccio per la ricostruzione del fatto e la conseguente ricerca di elementi che potevano, e possono, portare ad una giusta ricostruzione del caso nonché evidenziare responsabilità altrui.

                Altro aspetto che voglio portare come premessa, è che con questo articolo non intendo convincere nessuno nell’accogliere benevolmente o con critica la scelta del tutto personale di togliersi la vita. Personalmente ritengo che ogni individuo sia pienamente libero, senza arrecare danno altrui, di fare della propria vita ciò che vuole; di contro, ritengo che molto spesso, al contrario, è proprio la mancanza di supporto esterno, di vicinanza e di aiuto, che porta a questo gesto estremo. Il gesto del suicidio per la religione Cattolico Cristiana, è visto come “peccato”, infatti, una volta per i suicidi non si celebrava il rito religioso ed il cadavere veniva gettato nella fossa comune; sinceramente non so come le altre religioni vedano il gesto. A me piace, si fa per dire, vedere il gesto come cantato da Fabrizio De Andrè nella canzone “preghiera in gennaio”, dedicata al suo amico e collega Luigi Tenco dopo il gesto estremo, sembrerebbe, al festival di San Remo. Ma ancor più mi avvicina l’idea al pensiero che Cesare Pavese scrisse nel lontano 1927, poi da lui stesso applicato quando il 26 agosto del 1950 messe fine alla sua vita: “Ma perché prendersela tanto coi poveri suicidi? Li trattate da stupidi, da imbecilli, da vili, come se ciascuno di essi non avesse le sue ragioni terribili e immense……. Ebbene io vi dico che il suicida è un martire, martire tanto degno quanto i martiri di tutte le religioni. E per religione, intendo ogni ardore dell’anima umana, Dio o Idee che sono poi altrettanto Iddii. Se martire è colui che testimonia con le sue sofferenze e il suo sangue la sincerità del suo pensiero e dei suoi sentimenti, fusi, la sincerità della sua anima non più volgare, perché non ha da essere un martire anche un suicida che, piuttosto di mentire (a se stesso e quindi agli altri), di costringersi con uno sforzo che sente inutile, a un assestamento diverso che tanto sente inutile e non suo, preferisce uccidersi, darsi quel grande dolore, il supremo di tutti i dolori?”.

            Poi, per terminare le premesse, abbiamo un altro aspetto molto particolare e sentito. Difficilmente un familiare accetta che il suo prossimo abbia volutamente messo fine alla vita, ed è naturale, tanto quanto comprensibile, assistere ad esternazioni che rifiutano di credere ed accettare quella che potrebbe essere la realtà delle cose cercando di scaricare su altri le eventuali responsabilità. Per dolore? Per paura? Perché non si ha il coraggio di ammettere che non si è riusciti a capire il disagio del familiare e correre ai ripari? I motivi sono tanti; invito, per questo aspetto, a leggere il romanzo “La figlia silenziosa” scritto da “Sarah A. Denzil”, pubblicato da “Newton Compton Editori”.

            Fatta questa lunga premessa entriamo nell’ambito del discorso visto sotto un punto di vista di criminologia e criminalistica, ovvero, come forse si è compreso sopra, con l’intento di andare ad approfondire casi di suicidio famosi e particolari dove, forse, la chiusura del caso “per suicidio” potrebbe apparire, magari sbagliando, azzardata, inopportuna o frettolosa per addivenire con certezza, come la legge recita “al di sopra di ogni ragionevole dubbio”, per stabilire se il gesto estremo sia stato volontario o omicidio «mascherato» o istigato.

            I casi dove io mi feci degli interrogativi sospetti, sono diversi, uno dei più famosi è quello del banchiere Roberto Calvi; Implicato nel crack del Banco Ambrosiano, viene trovato impiccato a Londra, sotto il Ponte dei Frati Neri sul Tamigi, il 18 giugno 1982. Una morte subito derubricata dalle autorità inglesi in semplice suicidio. Per familiari e conoscenti invece, si sarebbe trattato di un omicidio per mettere a tacere una voce scomoda. Tale tesi, nel 2010, è stata poi confermata dalla sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Roma, in cui si legge chiaramente che «Roberto Calvi è stato ammazzato, non si è ucciso».

            Interessante, per le tante incongruenze nelle indagini, è il caso di Sergio Castellari. Ex commissario di Polizia, poi direttore generale degli affari economici del ministero delle Partecipazioni statali quando era Ministro Giulio Andreotti; consulente Eni e coinvolto nella maxi tangente “Enimont” che ha dato origine a “tangentopoli – mani pulite”. Castellari scompare il 18 febbraio 1993, dopo qualche giorno i suoi familiari ricevono lettere in cui Castellari annuncia i suoi propositi suicidi. Il suo corpo viene trovato una settimana dopo, nelle campagne di Sacrofano (Roma), deceduto per un colpo di pistola al cranio; il revolver viene rinvenuto come se riposto nella cinta dei pantaloni, con il cane armato (poi più avanti ne parleremo), tra le gambe del cadavere viene trovato un sigaro, con tracce di saliva appartenenti ad una donna, e vicino ad un fianco una bottiglia di whiskey consumata a metà, priva di impronte digitali.

A seguire, il 20 luglio dello stesso anno del decesso di Castellari, è la volta di Gabriele Cagliari, presidente Eni, anche lui coinvolto nella vicenda Enimont. Era stato arrestato a marzo dello stesso anno e detenuto in carcere; viene trovato morto sul pavimento del bagno della sua cella con una busta di nylon sulla testa e legata intorno al collo, l’ispezione cadaverica stabilirà che sul suo viso sono presenti ecchimosi compatibili con una colluttazione.

Passano solo tre giorni dalla morte di Cagliari quando Raul Gardini si spara con un colpo di pistola alla tempia mentre è disteso sul letto della sua abitazione. Raul Gardini è la persona chiave, il testimone di eccellenza dell’inchiesta Enimont e della maxi tangente ad essa riferita. Nella stanza, però, non si ritrovano residui di polvere da sparo e, sentite un po’, la pistola con cui si dovrebbe essere sparato viene ritrovata appoggiata sulla scrivania a diversi metri dal letto, priva di impronte, nemmeno quelle del presunto suicida.

Tre suicidi, tre eventi così catalogati, avvenuti nell’arco temporale di circa cinque mesi, che hanno visto come “protagonisti” tre testimoni chiave della stessa inchiesta, l’inchiesta “madre” di mani pulite-tangentopoli; strana coincidenza.

            Ma i casi “strani” non si fermano qui, nel 1995 muore in circostanze misteriose, poi tutto archiviato dalla Procura come suicidio, Mario Ferraro, 46 anni, tenente colonnello del Sismi (Servizio per le informazioni e sicurezza militare). Il cadavere venne ritrovato dalla moglie, si era impiccato nel bagno della sua abitazione. Venne trovata una lettera dello stesso Ferraro dove esternava il suo timore di essere ucciso. È ovvio, chi ha paura di essere ucciso si uccide da solo, infatti, il caso venne archiviato come l’estremo gesto per il dolore della morte della figlia avvenuta qualche anno prima, per la precisione, otto anni prima.

Possiamo continuare con il caso derubricato come suicidio di Adamo Bove, 42 anni, ex poliziotto e responsabile della security governance di Telecom Italia. Era il 20 luglio 2006, all’incirca le ore 12, l’uomo ferma la sua autovettura a margine della carreggiata e si getta dal cavalcavia di via Cilea, nel quartiere del Vomero, Napoli, andando a schiantarsi, dopo un volo di circa venti metri, sulla tangenziale sottostante, morendo sul colpo. Il Bove, in qualità di dirigente security governance di Telecom Italia, era indagato per violazione della privacy per aver «spiato» alcune persone attraverso una rete informatica e coinvolto, pare, anche nel “Laziogate”, per ricordare l’episodio giudiziario, il Laziogate è il presunto scandalo che, dal 2005, vide coinvolti il presidente della Regione Lazio, Francesco Storace, il suo portavoce ed il Direttore dei sistemi informativi Regionali. Adamo Bove non aveva mai manifestato intenti suicidi, non sono state trovate lettere o messaggi per parenti e conoscenti, e questa particolarità ha sempre alimentato la tesi dell’omicidio o, quanto meno, del suicidio istigato, ma questo non è mai stato dimostrato.

            La lista dei casi sospetti non termina qui, possiamo ricordare Renzo Rocca, direttore dell’ufficio per la Ricerca economica e industriale del Sifar, il Servizio di informazione delle Forze Armate, per conto del quale finanziò l’istituto Alberto Pollio. Poco prima di essere interrogato dalla Commissione Parlamentare di inchiesta, fu trovato morto nel suo ufficio, con un colpo di pistola alla tempia. Interessante fu l’accertamento tecnico di criminalistica, il “guanto di paraffina” che non rilevò tracce di polvere da sparo sulle mani di Rocca. Nonostante ciò, però, caso fu archiviato come suicidio.

            Sono tanti i casi “anomali”, strani o dubbiosi, Omar Pace, caso archiviato frettolosamente come suicidio, Ufficiale della Guardia di finanza che avrebbe dovuto testimoniare il giorno dopo in un processo per mafia che vedeva imputato, tra gli altri, l’ex Ministro Claudio Scajola.  Michele Landi, tecnico informatico consulente di Umberto Rapetto, Ufficiale della Guardia di Finanza e del Pubblico Ministero Palermo Lorenzo Matassa, i quali non credettero mai al suicidio, ma ritenevano che la vicenda doveva essere trattata come omicidio. Il PM Matassa disse “Penso ai servizi segreti, quelli che hanno cercato di dare un segnale a chi sta lavorando sull’omicidio del professore Marco Biagi”. Il responsabile della sicurezza dell’Hotel “Hilton” di Roma, sparatosi alla testa, come pochi mesi prima aveva fatto un suo collega, dipendente di un istituto di vigilanza distaccato all’albergo di Monte Mario; avrebbe fatto quell’estremo gesto, dopo una perquisizione ed avrebbe confidato alla moglie che stava scrivendo un “memoriale” che riguardava il suo lavoro. Gesuino Mastino ed il suicidio collettivo con la moglie Federica Torelli ed il figlioletto Alessandro; il fatto avvenuto a Chianciano Terme, la famiglia rinvenuta morta all’interno dell’autovettura per ferite da arma da fuoco, i dubbi furono sollevati dal padre del Mastino, dopo l’arresto dell’altro figlio, Agostino Mastino, coinvolto e collaboratore di giustizia, pentito, per il sequestro dell’imprenditore Giuseppe Soffiantini. Non si può tralasciare tutta la serie di morti sospette e di testimoni scomparsi, per la vicenda della strage di Ustica; sono preoccupanti le considerazioni del Giudice Rosario Priore “Una casistica inquietante, troppe morti improvvise”.

            Per carità, tutto quello che ho detto non vuole significare che ci siano stati errori, volontari o causali, non vuole dire che ci sia stata malafede, non vuole dire niente, o forse tanto. Ma quello che mi preoccupa di più, riprendendo il discorso iniziale, che se oggi parliamo di questi casi, lo facciamo perché, comunque, sono stati collegati a casi e fatti di cronaca nazionale, cose conosciute, ma quanti altri sconosciuti suicidi, o come tale archiviati ci saranno stati? Attenzione, esistono, purtroppo, anche i veri suicidi, anzi, saranno senza dubbio i più, la maggioranza, però c’è un detto che, se pur lasciando il tempo che trova, propone una riflessione “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si prende”.

            Il tutto, ovviamente, riferito alla tematica dei riscontri sulla scena del crimine, dell’importanza degli stessi e delle attività di criminalistica, condizione che, a quanto pare e come

BOLOGNA – MUSEO SULLA STRAGE DI USTICA

vedremo nei prossimi articoli, non è stata affrontata con la dovuta attenzione o, peggio ancora, cercando di contrapporre un dato, un riscontro, “scientifico” a valutazioni prettamente personali senza fondamento probatorio.

            Come ho detto sopra, nei prossimi articoli, scenderò nel dettaglio dei casi, andando a presentare quella che è stata l’attività di riscontri tecnici e ricostruzione dei casi, partendo dai tre suicidi del caso “Enimont”, ovvero, Sergio Castellari, Gabriele Cagliari e Raul Gardini, però, devo svelare un elemento, ho aperto l’articolo citando l’esclamazione “Una storia semplice”, beh, non l’ho buttata là a caso, c’è una precisa motivazione che però oggi non vi dico, vi lascio in suspence…….il prossimo articolo ripartiremo da qui.                                                          

 

                                                                                                                      Accattoli Gabriele

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