Gabriele Accattoli

Con questo articolo chiudo l’argomento sulle armi da fuoco e relativi accertamenti in seno alla balistica. Non poteva mancare un aspetto molto importante, ovvero la comparazione dei bossoli e dei proiettili.

Prima di fare un’esposizione sull’argomento, però, voglio trascrivere un racconto che avevo letto, tantissimo tempo fa, in un articolo pubblicato sul mensile “Polizia Moderna”. Il racconto di un caso realmente accaduto, che, già da sé, può aiutare a comprendere più semplicemente l’importanza e l’aiuto investigativo che può dare un’attività di ricerca, identificazione e comparazione sui bossoli e proiettili sparati, nel caso specifico, in assenza dell’arma.

Finalmente, dopo tutte le traversie che avevano angustiato la sua modesta vita, G.F. aveva trovato uno spiraglio di luce. Uno zio, emigrato alcuni anni prima in Australia e ritornato carico di soldi (dicevano le male lingue che fosse un “boss” della mala di Melbourne), era morto in una lussuosa camera d’albergo, con un foro in mezzo alla fronte: un buco piccolo, piccolo, come se il proiettile fosse stato un chiodo. “E’ stata un’arma da donna”, dissero gli inquirenti subito accorsi alla chiamata del direttore d’albergo, tutto impaurito ma nello stesso tempo desideroso che la cosa facesse poco rumore per via della classe dei clienti che alloggiavano in quell’esercizio. “non ci sono dubbi, solo una donna si porta appresso un gingillo simile, che spara proiettili grandi come granelli di miglio”, aggiunse il più alto degli uomini in divisa. “Si, hai proprio ragione: chi vuoi che si metta a sparare con un’arma simile?” continuò il graduato, aggrottando il viso “telefona al giudice, e fa venire subito la squadra giudiziaria, sento odore di guai”.

Non si sbagliava certo, se solo avesse immaginato tutto ciò che c’era dietro quella morte e quel “buco piccolo, piccolo ” il giudice ed il medico legale, potevano far ben poco, lì per lì: un verbale di sopralluogo, un referto di morte con tanto di firma e timbri. Il responso definitivo, perciò, sarebbe stato affidato all’esame necroscopico presso l’obitorio, alle indagini tecniche ed a quelle giudiziarie.

Il proiettile venne finalmente fuori: un cosino lucido, lucido, con una lievissima ammaccatura sull’ogiva. Il tecnico nel laboratorio balistico, se lo rimirava sotto il microscopio stereoscopico, trastullandosi nell’esame della zigrinatura e nella misurazione della lunghezza e dei diametri. “non ci sono dubbi: è un proiettile un po’ strano: mi sembra un .22 ma è a mantellatura completa. È un po’ troppo lungo per essere un .22 Hornet a palla solida, come quella che usano in montagna per non rovinare il gallo cedrone cui è diretta. Pesa anche troppo: 2,87 grammi contro i 2.50 della palla Hornet. Ma, poi, il passo della rigatura non può essere quello di una carabina, è troppo corto! Già, potrebbe essere un 5,75 mm Velodog. Non ci sono dubbi: è proprio un 5,75 mm Velodog. Ora vado di la e lo dico al giudice, ne sarà contento, ne sono certo”. Quando entrò nella sala delle autopsie, era tutto finito, ed il Prof. M.S., mentre si lavava le mani, dettava, come era suo solito, i rilievi fatti durante il riscontro necroscopico. Il giudice era già uscito e stava salendo nella modesta 850 che l’amministrazione gli passava. “ Signor giudice, non vuole sapere nulla sul proiettile?”. “Grazie, ma già so di che calibro si tratta, mi hanno dato ora un bossolo. Lo prenda, anzi, e domani venga in ufficio per il processo verbale di nomina perito balistico”. Di nuovo solo nel laboratorio, il tecnico (dott. A.) si diceva tra sé e sé: “ perdinci! Ora che mi sembrava di aver fatto centro, il giudice mi gela…. Ma, pensandoci bene, qualcosa non è chiara! Il 5,75 Velodog può essere sparato solo da un revolver non da una pistola semiautomatica: se è cosi, come mai hanno trovato un bossolo sparato? Il caso promette un bell’imbroglio già agli inizi: sarà entusiasmante, ma…..”.

Dall’esame del bossolo si dedusse che il tamburo aveva un estrattore semilunare molto lungo e poco spesso, ed inoltre si accertò che il percussore non era solidale al cane, ma del tiro inerziale. Ciò diceva molto: solo un revolver, già raro nel calibro in esame, poteva essere stato a sparare. Per fortuna vennero alla luce anche alcune elementi di natura testimoniale: G.F. aveva un revolver di quel calibro, ma non sapeva di non sapere più nulla da quando s’era diviso dalla moglie; questo fatto era avvenuto da circa due anni, pressappoco quando lo zio tornò dall’Australia. Nei confronti di G.F. venne spiccato mandato di cattura. Lo si trovò subito in casa, da cui, del resto, non si era mai allontanato. Tutto era contro di lui, che tra l’altro era l’unico parente che avrebbe dovuto incassare diverse centinaia di migliaia di sterline, tanto era quello che aveva accumulato lo zio nelle banche di Melbourne. Solo pochi giorni prima dell’inizio del processo in Assise, si seppe che gli eredi erano due! Lui e la moglie. Il primo a stupirsi fu G.F.: che c’entrava sua moglie con il testamento dello zio se questi non l’aveva neppure conosciuta, dato che si erano separati prima del suo ritorno in patria? Alla fine risultò che la moglie di G.F. era stata l’amante di W., lo zio di G.F., e che questa l’aveva ucciso perché le aveva negato il denaro per aprire una boutique. L’arma era proprio quella del povero G.F. che la moglie all’atto di andarsene, si era presa, con la speranza di venderla e realizzare qualcosa, ma che poi aveva usato per uccidere l’amante.

Dopo questo interessante racconto cercherò di presentare cosa è la balistica comparativa, ovvero quel settore che porta ad identificare un’arma analizzando i reperti rinvenuti sulla scena del crimine, confrontandoli con quelli delle prove sperimentali. Per arrivare a questo il percorso di analisi è obbligatoriamente strumentale, che porta ad effettuare comparazioni macro e microscopiche sui bossoli e sui proiettili.

Partiamo, perciò da un elemento semplicissimo, da uno sparo effettuato con arma da fuoco riusciamo a recuperare sulla scena del crimine i residui del munizionamento utilizzato, il bossolo con l’innesco (se l’arma utilizzata non è un revolver), il proiettile (ogiva) ed i residui di propellente.

Detto ciò, se si ponesse la domanda, che cosa è la comparazione balistica, di primo acchito verrebbe da rispondere che la stessa si estrinseca mettendo a confronto diretto due elementi; certamente la risposta è giusta, ma altrettanto certamente non sufficiente a dare una visione completa dell’attività.

Mi spiego meglio, dall’analisi di un reperto balistico si discriminano due tipi di tracce, quelle denominate di “classe” e quelle di “peculiarità”. Le prime, quelle di classe, ovvero quelle  micro e macro tracce presenti su ogni elemento e su altri milioni di elementi simili a quello, in quanto “figli” di un unico progetto, come può essere il sistema di percussione o di espulsione di tante armi della stessa marca, modello e calibro. Le seconde, quelle di peculiarità, sono le sole tracce che consentono, nella balistica forense, di poter affermare l’identità o la non identità di un’arma che ha esploso quella determinata cartuccia.

Tali peculiarità si formano grazie a tutta una serie di eventi che non sono legati, se non per eventi eccezionali, al progetto originario dell’arma, da questo ne deriva che anche nelle tracce di classe si possono andare a fissare e formare le peculiarità che possono derivare, ad esempio, dall’usura dell’arma, dal danneggiamento, o da qualsiasi altro elemento che, anche se in maniera microscopica, ha modificato gli elementi caratteristici del progetto iniziale dell’arma stessa.

  Per scendere ancor più nel dettaglio, riporto quelli che possono essere le impronte caratteristiche di “classe” o di “peculiarità”, prima, però, è necessario, brevemente, vedere come si formano tali impronte, la differenza tra di esse, e perché possono esistere differenze metriche nelle impronte pur sussistendo l’identità. Un’arma deriva da una progettazione e può essere definita come una macchina che trasforma l’energia meccanica di percussione in energia termo – chimica. La deflagrazione dello sparo va a creare all’interno della camera di scoppio enormi pressioni ed alte temperature, andando ad agire in modo indiscriminato su tutte le pareti del bossolo provocando gonfiori che saranno contenuti all’interno della camera di scoppio e meccanicamente spinto sulla culatta. Da questo dinamismo fisico, il bossolo va a subire delle modificazioni che riportano in copia speculare, stampati a compressione, elementi di classe, tipici del progetto basilare dell’arma, nonché elementi peculiari derivanti da altre fattispecie. Stesso meccanismo avviene sul proiettile, ogiva, che con pressione e forza cinetica viene lanciato fuori dall’arma attraverso la canna.

Le impronte di “classe” sono lasciate dagli organi, meccanismi, dell’arma, organi di progettazione, ed hanno quasi sempre una disposizione spaziale morfologica e metrica ben definita. Questo significa che, in assenza di anomalie, che tutte le armi di una certa marca ed ugual modello, lasceranno sul bossolo esploso e sul proiettile identici segni, collocati sempre nella stessa posizione spaziale. Queste impronte vengono lasciate dall’estrattore, dall’espulsore, dal percussore, dalla culatta, dai segni pieni o vuoti della rigatura della canna, dal numero dei solchi della rigatura della canna, dal verso della rigatura, destrorsa o sinistrorsa, l’angolo della rigatura con la genitrice.

Le impronte di peculiarità, le quali, in definitiva, sono quelle che vanno ad identificare l’arma, possiamo trovarle in qualsiasi parte dei reperti, sia sui bossoli che sui proiettili, e possono anche essere coincidenti, dando una forma particolare ed unica, anche alle impronte di classe. Queste impronte possono essere causate da segni di lavorazione sulle parti dell’arma, come ad esempio piccoli difetti di fabbrica o derivanti dall’usura dell’arma stessa, residui di lavorazione rimasti all’interno dell’arma, ossidazioni, sostituzioni di pezzi o segni di utensili adoperati per la manutenzione, segni prodotti da oggetti rigidi e duri utilizzati per la pulizia, tutti qui segni che l’usura e l’utilizzo dell’arma possono aver creato nel tempo.

Non sto ad inoltrarmi oltre sulle tecniche di comparazione ed analisi degli elementi tipici, come è possibile intuire il settore è talmente ampio che resta difficile racchiuderlo in un articolo, però, prima di concludere, il minimo che posso fare, è indicare i principali strumenti di studio che vengono utilizzati nella balistica comparativa. Essi sono: l’endoscopio, strumento munito di telecamera collegata a un monitor. Serve per la visione interna delle canne delle armi per verificarne lo stato di conservazione. Il microscopio stereoscopico, per la visione di bossoli, proiettili, frammenti e particolari di un’arma da analizzare. Con una derivazione è possibile l’utilizzo contemporaneo di due operatori contemporaneamente. Microscopio comparatore, serve per effettuare l’analisi comparativa tra elementi balistici omogenei (bossoli, proiettili e frammenti di essi). Infine, pur non essendo uno strumento d’indagine, ma elemento essenziale, la gelatina balistica. Si tratta di sostanza elastica creata con composizione varia di elementi chimici e vegetali uniti ad acqua, viene utilizzata nei test di sparo per consentire il recupero dei proiettili che, attraversando la sostanza, si fermano senza subire alcun danneggiamento. Il proiettile così recuperato verrà utilizzato per le analisi comparative con altri oggetti di indagine repertati sulla scena del crimine.

Qui mi fermo, concludo l’argomento sulle armi da fuoco e relativi accertamenti tecnici, più avanti riprenderò l’argomento armi, dedicando un articolo alle armi da punta e da taglio.

Accattoli Gabriele

 

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