“Ed ecco a voi il direttore di tutto questo inferno”. E lo ricordo ancora, inizio nuovo millennio, venti e piu’ anni fa a Montecosaro (Macerata) nei locali de ‘La Luma’, il prestigioso ristorante che fu di Giovanni Bartolini: per un pomeriggio  capitale temporanea dello star system musicale italiano. A riunire li’ quel piccolo ma significativo stuolo di ‘principi’ del pentagramma, era stato al solito, Paolo Marinozzi. Al solito perche’ lui da anni s’era fatto un nome come ‘re’ del Collezionismo e dell’Amarcord per trovare di li’ a poco definitiva consacrazione con il Museo del Cinema a pennello. E a presentare Paolo come seduttivo, ‘infernale’ direttore di quella sequel stellare era stato l’amico e collega (al ‘Messaggero’) Fabrizio Zampa, scomparso ieri ad 85 anni d’eta’

Maurizio Verdenelli

L’inferno, segnalato dall’immaginifico Fabrizio; in realta’ era un paradiso per ogni appassionato della storia della musica tout court. Intorno a Lucio Dalla, proveniente dalle Tremiti e diretto a Bologna, ospiti di Marinozzi c’erano tra gli altri Don Backy, Edoardo Vianello, il pianista Bracardi ed altri musicisti che -insieme con lo stesso Zampa alla batteria-  avevano costituito l’orchestra piu’ importante del Belpaese negli anni 60 ed oltre: I Flippers. Dalla suonava il suo mitico clarinetto che per la prima volta, ‘scappando’ alla volta di Bologna dove l’attendeva la madre, avrebbe dimenticato a Palazzo Marinozzi. All’ombra del santuario lauretano, sulla A14, se n’era poi improvvisamente ricordato.”Marinozzi! se pensi di nascondermi il clarinetto per poi esporlo nel tuo Centro per il Collezionismo, sappi che mettero’ una bomba sotto il Palazzo! Aspettami, sto ritornando a Montecosaro da te!” fu la (minacciosa)  telefonata al malcapitato Paolo. Dalla come una furia si ripresento’ di li’ a poco a Montecosaro, ‘riabbraccio’ l’amato clarinetto e di nuovo a tutto gas verso Bologna. “E’ stata gia’ una fortuna che sia venuto oggi, orso com’e’!” Fabrizio consolo’ cosi’ il desolato Marinozzi, abilissimo in ogni caso a legarsi amicalmente a Renzo Arbore nella cui band era ‘magna pars’ lo stesso  giornalista del ‘Messaggero’. Che assunto nel 1970 al servizio Spettacoli (contesto artistico a lui familiare: suo padre Luigi era stato uno dei piu’ importanti registi del dopoguerra) era andato in pensione a meta’ degli anni 90, senza smettere mai di lavorare. Il giorno dopo il congedo era gia’ infatti al Festival di Sanremo, da lui sempre seguito in precedenza come inviato!

Fabrizio era ed e’ stato fino all’ultimo sulla breccia come capita ai giornalisti ‘di razza’. E’ stato lui, con il carisma, la firma, la notorieta’ a contribuire fortemente al lancio di Musicultura a Recanati, sin dagli esordi, rispondendo con entusiasmo all’appello dei fondatori Piero Cesanelli e Vanni Pierini. Conduttore sul palco del Bocciodromo e demiurgo scintillante con contatti ed ‘entrature’ formidabili, Fabrizio. Ricordo lo sgomento di Cesanelli allorche’ Zampa, nel corso di un’edizione successiva, dovette dare forfait (credo) a causa di un infortunio. A sostituirlo un volto giovane ma gia’ noto che si stava affermando come conduttore del Tg2: Michele Cucuzza.

Devo infine a Fabrizio Zampa una ‘chicca’ su Dalla, quel pomeriggio a Montecosaro dedicato a lui e al mito dei Flippers. Il grande Lucio aveva al solito dribblato gli inviati dei giornali, non rilasciando dichiarazioni. “Come posso rimediare?” chiesi a Fabrizio,  quasi disperato. “Scrivi questo. E’ un fatto che in tutti questi anni e’ rimasto nella stessa oscurita’ in cui si e’ consumato. Dalla e’ stato con noi, I Flippers,, un biennio soltanto ma ha lasciato il segno con il suo clarinetto. Giovanissimo, amava suonarlo a piedi nudi. In quei tempi c’era pure una cantante famosa che si esibiva scalza: quindi perche’ sorprendersi? Accadde tuttavia che a Torino eravamo riusciti ad ottenere una scrittura importante in un locale dov’ era d’obbligo l’abito scuro. E il titolare si era raccomandato che Lucio, la nostra star, si presentasse calzato. Quando lui ci disse tranquillo di ‘si’ restammo di stucco: eravamo pronti ad un rifiuto e rassegnati a dover rinunciare all’ingaggio. Quella sera, nella intensa semioscurita’ del palco, notammo con sollievo che le estremita’ inferiori di Lucio non biancheggiavano al solito ma erano come ‘protette’ ed avvolte da ‘qualcosa’ di nero. Le scarpe, fu la nostra naturale deduzione. Solo piu’ tardi scoprimmo (non fu attraverso la vista!) che era lucido da calzature. Con cui Lucio si era accuratamente ‘dipinto’ i piedi!“.

di Maurizio Verdenelli

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