Vinicio Salvatore Di Crescenzo è l’autore di Triticum, la sua nuova silloge poetica edita da PAV Edizioni. L’autore compie un percorso metaforico attraverso la poesia. Un viaggio che lo porta a scandire le tre fasi principali del ciclo stagionale del grano. Dalla semina, tempo di promesse e di speranze affidate alla natura, al tempo della mietitura, atto nel quale i sentimenti umani riscoprono i valori e le passioni. Infine le spigolature, che recuperano quanto la coscienza offre da ogni riflessione. Triticum è dunque un contenitore di immagini e pensieri fissati lungo il tragitto della vita, in un percorso diacronico e simbolico con uno dei più antichi frutti della terra.

Intervista all’autore:

Triticum è il nome arcaico del grano, una delle sacralità primordiali che, oltre ad evocare simbologie e metafore molto potenti, ha segnato profondamente la storia dell’umanità. Quale episodio della tua vita ha prodotto un “raccolto” importante?
Di episodi importanti che hanno lasciato il segno, e che in un modo o nell’altro hanno indirizzato il mio cammino esistenziale ce ne sono vari. Vorrei però concentrarmi su quello che più attiene la materia trattata e cioè la poesia. Ho sempre descritto i miei pensieri, fin dall’età adolescenziale, raccontandoli prima a me stesso poi, man mano, a chi fosse intenzionato ad ascoltarli e/o a leggerli. Chiaro che all’inizio li reputavo segretissimi e inviolabili, poiché frutto di esperienze intime e fortemente personali. Tuttavia, leggendo i grandi poeti del passato, mi sono reso conto che buona parte di ciò che scrivevo, lo ritrovavo anche nelle loro personali osservazioni che con capacità espressive uniche, narravano attraverso la poesia. Le acute percezioni nei confronti degli elementi naturali, e le reazioni della loro coscienza in relazione a episodi particolarmente intensi dal punto di vista emozionale, sembravano la ripetizione di quanto, spesso, avevo già vissuto anch’io. Una poesia universale quindi: di tutti. Una poesia che non appartiene più unicamente all’autore, quale descrittore del rapporto mondo – anima secondo la propria personale interpretazione, ma che diventa, almeno nei contenuti, patrimonio condiviso e di proprietà comune. Espressione di un’arte che scandisce le pulsazioni di ogni passaggio nodale catturato dai ricordi e archiviato nella sfera emotiva dell’essere umano. Questa riflessione, ha rafforzato sicuramente in me la convinzione che, nella nostra società contemporanea resiste ancora (per fortuna) una gran voglia di comunione di esperienze, di emozioni, di ricerca di espressioni che sappiano ben descrivere un passaggio, un atto sfuggito e ritrovato i cui contenuti, oscillano tra la peculiare caratteristica umana, qual è il sentimento che li esalta, e la sana, genuina volontà di renderli pubblici quale patrimonio condiviso. Ecco, il mio “raccolto” incarna questa volontà – soddisfatta – di aver reso temi personali, spesso legati alle tradizioni della mia terra, oppure appartenenti alla sfera privata personale di proprietà di tutti, perché credo che ognuno di noi, nel percorso naturale della propria vita, viva emozioni e sensazioni che non sono specificità del singolo, ma che appartengano all’identità di ognuno ne riesca a percepire la presenza.

Il titolo, ragionando per immagini, mi ha riportato ai campi di grano di Van Gogh o ai covoni di Monet. Tu che hai la passione per l’arte quale opera assoceresti a Triticum?
Triticum vive una storia tutta sua attraverso ciò che rappresenta nell’immaginario culturale dell’antico e del moderno, ma non prescinde da comuni contesti nell’individuazione di peculiari entità che si identificano nella storia dell’umanità. Triticum, che in botanica comprende una famiglia delle graminacee in cui sono inseriti vari tipi di grano e di frumento, è un elemento della natura in grado spesso di rappresentare il soggetto principale dal quale trarre storie, racconti, immagini e poesie appunto, ed è stato così anche per i pittori che hai citato. In realtà, pittura e poesia adoperano spesso fattori che offrono comuni spunti creativi, e non solo in virtù di un insieme ricco di risorse dal punto di vista oggettivamente individuabile, ma anche nella cultura dell’arte in generale, offrendo un panorama interpretabile a seconda delle proprie capacità percettive. Leonardo Da Vinci, che nell’arte e nella scienza ha investito e speso un’intera vita scrisse: “La pittura è una poesia muta e la poesia è una pittura cieca”. E mai frase fu più veritiera e genuina, a testimonianza del forte connubio esistente tra le due forme d’arte. I miei campi di grano diventano quindi la tavolozza del poeta, una sorta di base sulla quale sviluppare un viaggio lungo le fasi principali della sua coltivazione, in totale connessione ad elementi appartenenti alla natura, a storie di vita, fino ad arrivare a ricerca introspettiva e a riflessioni ostinate e profonde verso temi di varia sostanza che sono prerogativa dell’intera umanità. Il tutto poi, si esaurisce nel momento in cui la terra si riappropria della sua vera identità di fondo vergine e sincero, pronto a promettere ancora nuova vita e nuove spighe d’oro.

Quando nella tua biografia ho letto che sei un esperto di musica Progressive Rock, ho pensato ai Traffic e alla loro interpretazione della canzone “John Barleycorn must die”, il personaggio della ballata folk che incarna il ciclo delle stagioni e lo “spirito del grano” che deve morire per dare nuovi semi. C’è una poesia nella tua raccolta ispirata ad una “nuova vita”?
Conosco bene il brano, peraltro delicatissimo e dallo stile “temperato”, dei “Traffic”. Soprattutto per come racconta questa storia, dove un sacrificio risulta essere indispensabile a ottenere una soluzione di continuità. La raccolta poetica “Triticum” è divisa in tre fasi: la semina apre la storia nella natura, la mietitura si serve dei sentimenti e la spigolatura raccoglie riflessioni, pensieri e osservazioni. In ognuna di queste fasi vi sono riposte speranza, rinascita, amore e mistiche storie ancora vive. Ma soprattutto, coesistono invocazione del dolore e della gioia come omogenee strutture in contrapposizione alla ricerca del giusto equilibrio psichico, fondamento sul quale costruire la decisa convinzione che ogni nuova vita nasce dalla fine di ogni singola poesia, perché in ogni poesia esiste l’essenza perpetua che non conosce un’estinzione. Ogni poesia ha un retrogusto che riporta a una nuova fioritura, perché ogni poesia custodisce il seme della nostra cultura e della nostra identità.

Sei nato a Fondi, un luogo meraviglioso della Ciociaria diventato monumento naturale legato ai nomi di Alberto Moravia e sua moglie Elsa Morante, dove dovettero rifugiarsi durante la seconda guerra mondiale per via delle loro origini ebraiche. Nei monti di Fondi Moravia iniziò a scrivere La ciociara, una delle sue opere più note. La storia dei due intellettuali ha ispirato in qualche modo il tuo percorso di scrittore?
Luogo meraviglioso hai detto…proprio così! Non solo perché ricco di storia e molto antico quasi come Roma, e neanche solo perché florido di una natura ricca di elementi trai quali lago, collina, montagna e mare. Fondi, oltre ad avere dato modo a Moravia di trovare terreno fertile per le sue eccelse doti umanistiche e profondamente artistiche, da sempre, ha dato i natali a personaggi di spicco nel mondo dello spettacolo e dell’arte in generale. Non si può fare a meno di ricordare Giuseppe e Pasqualino De Santis, rispettivamente regista e direttore di fotografia che proprio dal basso Lazio hanno attinto immagini e storie diventate universali attraverso le loro produzioni cinematografiche, e che proprio di fronte all’abitazione dove sono nato io, nella centralissima Corso Appio Claudio, dimorarono qualche anno prima. E ancora, Domenico Purificato, pittore d’Arte. Uomini e donne dello spettacolo passato e presente, per chiudere con Libero de Libero, il grande scrittore e poeta che per gran parte del 900 ha occupato un ruolo importante nel panorama della letteratura Italiana. A lui mi ispiro, perché lo stesso Libero, prima di me, visse i luoghi che sono poi divenuti fonte di ispirazione e tracce indelebili anche della mia poesia. Ciò che egli descrive attraverso le sue storie, sia in poesia che in narrativa, sono perfettamente da me decodificate attraverso un’interpretazione univoca e fedele, legata soprattutto alle tradizioni e alla cultura che ci accomuna, seppur in epoche diverse, ma neanche più di tanto. Presso la sua tomba di Patrica, in provincia di Frosinone, nel rigoroso silenzio di un cimitero deserto, ho scritto una poesia che ritengo assai importante per l’intensità che essa offre dal punto di vista emozionale e che ho inserito all’interno di “Triticum”.

–Nikla Cingolani


Vinicio Salvatore Di Crescenzo nasce a Fondi (LT), antico comune del basso Lazio. Innamorato dell’arte nelle sue varie forme, si dedica molto presto allo studio della musica e della pittura. Ma è nella poesia che individua la massima espressione creativa. La sua professione, svolta in un’importante istituzione dello Stato, lo porta a contatto con realtà e contesti sociali, che contribuiscono a dare corpo a un forte senso di analisi e osservazione. Elementi, che nelle sue poesie emergono spontaneamente. I versi di questo autore incarnano il linguaggio della natura e della famiglia. Evocano tematiche connesse all’esistenza umana e alla ricerca introspettiva, con uno sguardo attento e riflessivo alle origini culturali e sociali della propria terra.

Bibliografia:

“Poesie dal mio diario” (Arduino Sacco Editore 2012);
“Il coraggio dei pensieri la timidezza della poesia” (Arduino Sacco Editore 2013);
“Segreti Svelati” (David & Matthaus 2015);
“Assoli” (Le mezzelane Edizioni 2016);
“Vernice Damar” (Ensemble Edizioni 2019);
“Triticum” (PAV Edizioni 2020).

 

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