Gabriele Accattoli

 

Il 10 febbraio 2020, nel pubblicare il mio 34° articolo, accennavo come caso di cronaca ispirante per un’amplia rappresentazione di quello che riguarda i “rilievi balistici – armi e residui dello sparo”, alla morte di Marco Vannini. In quell’articolo mi ero riservato di tornare sul fatto, ed oggi, prendendo spunto anche da richieste di lettori ed amici, vado a trattarlo.

Prima di addentrarmi nella bruttissima storia della morte di Marco, è  mio intento, con i miei articoli che ho iniziato a pubblicare nel luglio del 2019, a cadenza settimanale, così come organizzato con il Direttore di Radio Erre, Asterio Tubaldi,  quello di presentare ai lettori delle materie che spesso vengono citate ma che poi non tutti conoscono; la “criminalistica”, la “criminologia” e le “indagini di Polizia Giudiziaria”. Ho dedicato circa quaranta articoli per presentare queste materie, la loro storia, la scena del crimine ed i rilievi su di essa, l’analisi e studio degli autori dei reati, il criminal profiling, e solo in questo ultimo periodo sono sceso nel presentare casi e fatti di cronaca, non con l’intenzione giornalistica di far conoscere il fatto, ma di analizzarlo, insieme ai lettori, nell’ambito delle materie che sono di mio interesse e che avevo ampliamente presentato in precedenza.

 

 

Fatta questa premessa, entriamo nel caso che ha visto come drammatico  epilogo la morte del giovane Marco Vannini. Come si ricorderà il tragico evento è avvenuto il 17 maggio del 2015, in una villetta di Ladispoli, abitazione della fidanzata di Marco.

Antonio Ciontoli e Marco Vannini

La morte era stata causata da uno sparo di pistola semiautomatica, e per l’evento la giustizia condannò, in primo grado, il padre della fidanzata di Marco, tale Antonio Ciontoli per “omicidio doloso (volontario)” a 14 anni di reclusione, nonché la moglie, la figlia Martina, fidanzata di Marco ed il figlio Federico, per omissione di soccorso, e probabilmente per favoreggiamento, a 3 anni, mentre la fidanzata di Federico, Viola, presente all’ evento, fu assolta da ogni responsabilità. Il Pubblico Ministero, aveva chiesto 21 anni per Antonio Ciontoli, 14 anni per la moglie, Martina e Federico, e 2 anni per Viola. La sentenza d’appello aveva ribaltato la prima, derubricando l’omicidio doloso in “colposo”, e condannando Antonio Ciontoli a 5 anni, mentre confermava le condanne per il resto della famiglia a 3 anni, assolvendo sempre Viola.

Questa è una veloce presentazione della vicenda; la discussione che voglio presentare oggi sarà divisa in due aspetti, il primo la tipologia di reato contestato e per il quale è sopravvenuta la condanna, il secondo un’analisi sulle indagini tecniche, i rilievi sulla scena del crimine, quindi elementi oggettivi.

Iniziando dal reato, è doveroso un piccolo approfondimento sulle tipologie di “omicidio”,  chi non è del mestiere, spesso confonde o fa fatica ad apprenderne la distinzione.

Per la legge penale italiana, esistono diverse tipologie per il reato di omicidio: quello doloso, ovvero volontario, che potrebbe essere, ad esempio, d’impeto o premeditato; quello colposo; quello preterintenzionale.

Quest’ultimo lo saltiamo direttamente, non rientra nella fattispecie del caso Vannini, poi in altra occasione eventualmente lo presenterò.

Andiamo a vedere cosa il Codice Penale intende per omicidio doloso e colposo:

Art. 575 Codice Penale – Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno.

Art. 589 Codice Penale – Omicidio colposo – Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.

Se il fatto è commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

La discriminante tra i due reati la troviamo negli articoli 42, dolo, e 43, colpa, del Codice Penale. Nel primo caso, il dolo, si intende la consapevolezza e la volontà di commettere il reato, l’elemento soggettivo è fondamentale per la qualificazione del reato. Infatti, l’art. 42 c.p. prevede che nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà. Per il dolo quindi, occorre provare la volontà di portare a termine il fatto con la consapevolezza dell’evento finale, cioè la morte. Per andare oltre, possiamo dire che occorre un movente per portare a termine una volontà.

Nel secondo caso, la colpa, il reato consiste nel procurare la morte di una persona in conseguenza di un fatto diversamente imputabile alla volontà. Manca quindi la volontà di commettere un fatto che costituisce reato, ma l’evento si verifica ugualmente per negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

Detto ciò, penso sia chiaro che la discriminante tra le due ipotesi di reato è la volontà di commettere un determinato evento reato, la volontà, come nel nostro caso, di cagionare la morte a Marco o l’evento della stessa per altre cause diverse dalla volontà, l’elemento soggettivo.

La morte di Marco Vannini, l’evento che ha portato alla morte del ragazzo, è piena di contraddizioni, bugie, depistaggi e, forse, qualche mancanza di attenzione per le scelte investigative, ma quello che sembra difficile percepire, è la volontà, l’elemento soggettivo, che Marco morisse.

Antonio Ciontoli, che si è sempre assunto la responsabilità del fatto, prima ha detto che il tutto era relativo all’infortunio in vasca da bagno con un pettine che si era andato a conficcare nel braccio di Marco, poi ha detto che si trovava nel bagno con Marco, mentre questo si faceva il bagno, e per pura casualità gli scivolava il marsupio dalle mani e con l’intento di non farlo cadere a terra, afferrava male la pistola che lì era contenuta e partiva un colpo, infine dice che per gioco, o scherzo, armava la pistola, in gergo “scarrellava”, la puntava in direzione di Marco, e ritenendola scarica sparava in direzione del ragazzo. Tutta la reticenza nel non dire subito la verità era stata giustificata nella paura di perdere il posto di lavoro; Antonio Ciontoli era un Sottoufficiale della Marina Militare distaccato ai Servizi Segreti Militari e si spacciava, o presentava, come “carabiniere”.

Quello che secondo me è da evidenziare con molta attenzione, non è tanto il fatto in sé e per sé dello sparo, comunque atto ingiustificabile e degno di essere rilevato come condotta di un reato, ma tutto quello che scaturisce dall’omissione di soccorso e nel non essersi adoperati, tutta la famiglia, per dare a Marco i dovuti soccorsi sanitari che, se arrivati tempestivamente, con molta probabilità, gli avrebbero salvato la vita. Di contro, un’assurda ed incredibile giustificazione dei presenti nel dire che non si erano resi conto dello sparo e che la condizioni di Marco non erano gravi e, soprattutto, che non erano derivate da un colpo di arma da fuoco. Mentre tutto il vicinato aveva sentito quel colpo assordante, prodotto da una calibro 9, i presenti all’evento, pensavano ad un colpo d’aria…..

Morte-di-Marco-Vannini-Ciontoli-Volevo-fargli-vedere-come-si-carica-la-pistola

Lo sparo è avvenuto è avvenuto intorno alle ore 23.15, dopo circa 30 minuti Federico chiama il 118, ma la richiesta di intervento viene annullata. Successivamente, alle ore 00.06, la seconda chiamata al 118 con richiesta di intervento per un incidente domestico, Marco si sarebbe scivolato nella vasca da bagno, cadendo si sarebbe ferito con la punta di un pettine e la ferita dolorosa avrebbe generato spavento……. Con queste indicazioni mediche Marco giunge al Punto di Primo Intervento oltre le ore 00.30, ovvero oltre un’ora dallo sparo.

La preoccupazione di Antonio era stata quella di chiedere al dottore di non far emergere che si trattasse di un colpo di pistola, la cosa avrebbe compromesso il suo lavoro…..

Per Antonio Ciontoli, e restante famiglia, le condizioni di Marco non erano gravi da dover chiamare subito il 118, un colpo di arma da fuoco che entra da dietro il braccio destro, con una traiettoria dall’alto verso il basso, che trafora i polmoni e il cuore, e con l’ogiva che va ad arrestare la corsa nel costato opposto all’ingresso, non era grave, come non era grave l’atroce dolore urlato da Marco rilevabile dalle testimonianze dei vicini di casa e dalle registrazioni delle chiamate al 118 dove in sottofondo si sentono le urla del ragazzo. Il militare si giustifica dicendo che lui non era esperto di armi…….. aveva due pistole semiautomatiche, frequentava il poligono, essendo militare aveva avuto sicuramente un addestramento all’uso e custodia delle armi, ma secondo lui non era esperto…..

Sul discorso dolo o colpa ci sarebbe tanto da dire, in tutta sincerità però, parlare di dolo, omicidio volontario per lo sparo, potrebbe sembrare un po’ fuori dalle righe, oltre quanto avvenuto, ma sicuramente diverso è per il depistaggio alle indagini, bugie, e soprattutto per il ritardo della richiesta d’intervento dei sanitari, dove possiamo dire, con certezza, che questo aspetto è avvenuto con consapevolezza e volontà.

Oltre ciò non si può escludere che, per questo secondo aspetto, tutti i presenti, Antonio, la moglie, i figli, Martina e Federico, ed in ultimo Viola, addirittura ritenuta estranea ai fatti e prosciolta sia in primo che in secondo grado, quando di fatto era lì presente con tutti gli altri, non potevano non sapere che quanto da loro messo in essere, era un’omissione di soccorso che poi ha portato alla morte di Marco.

Ma forse c’è altro, forse non debitamente approfondito. Due aspetti in particolare, secondo me, gettano dubbi sulla veridicità dell’accaduto. Il primo aspetto riguarda le esternazioni di Antonio Ciontoli quando arrivò nella caserma dei Carabinieri, secondo la ricostruzione del Brigadiere Amadori, che al processo disse “…. Quando arrivai trovai tutta la famiglia Ciontoli. Feci entrare Antonio Ciontoli nel mio ufficio. Si accomodò, era molto preoccupato e ha cercato di fornire una prima ipotesi su quanto era accaduto. Dopo aver carpito alcune cose, ho ritenuto opportuno fare capire che non ero d’accordo, però non potevo andare oltre. Lì lui esternò con un gesto un po’ particolare: “Che fai mi vuoi arrestare?”. Lì poi intervenne il Maresciallo Izzo che passava nel corridoio e ho detto: “Guardi ci parli lei che non è il caso che io interferisca oltre quelli che sono…”. E Ciontoli: “Mah, adesso metto nei guai mio figlio”. Allora, il Comandante Izzo aprì la porta, quando mi vide che ero un po’ irritato dico: “Guardi comandante, io esco fuori perché non mi sta bene, non posso io sentire certe cose”. Dice rivolto a Ciontoli: “Anto’ tu mi devi dire una cosa: chi è che ha esploso il colpo di pistola? Tu o tuo figlio?”. “No, sono io”. “Ecco allora vedi di farla finita e basta”. Lì chiusi il discorso……“. Probabilmente era già evidente che le cose non erano andate così come presentate, ma lì si fermarono.

Altro elemento emblematico, che non può non sollevare dubbi, sono le intercettazioni ambientali tra Antonio, figli e Viola, nella caserma dei Carabinieri, dove si ascolta:

Antonio: che gli hai detto a loro che ho preso io la pistola?  Federico: si l’unica cosa che gli ho detto, io le ho prese al bagno, sono sceso giù ed ho levato il caricatore per vedere se erano cariche, ed ho trovato il bossolo in bagno, ma non l’ho toccato, quindi tu gli devi dire che hai trovato le pistole da qualche parte che l’ahi messe nel…nel..; Antonio: marsupio; Federico: e hai preso il bossolo; Antonio: e tu il bossolo dove l’hai trovato? Federico: in bagno, vicino al mobiletto

Antonio: e l’hai dato a me? Federico: no, io non l’ho toccato; Viola: pistole? Federico: che gli hai detto? Viola: gli ho detto che l’arma non l’avevo vista, ho visto tu che l’hai presa prima e hai detto la porto in un posto sicuro perché è pericoloso in mezzo a tutti quanti lì per casa, gli ho detto che l’ho vista sul …( poco chiaro, sembra dica comò).., così ho parato un po’ il culo a te.

Già questo basterebbe per capire, o quanto meno pensare, ad una forma di coordinamento per presentare un evento a secondo del comodo, ma quello che lascia ancor più sconcertati è quello che dicono Martina e Viola, neppure 48 ore dopo la morte di Marco: Martina: la stanno facendo troppo lunga, che esagerazione…..(era morto ammazzato il fidanzato….) ….era destino che morisse….e mo’ basta, è andata così; Viola: ….se fosse sopravvissuto, sarebbe rimasto handicappato, si sarebbe ammazzato comunque….

Hanno sempre sostenuto che non pensavano che Marco fosse stato così gravemente ferito, quando poi parlano di un qualcosa che l’avrebbe reso handicappato, e pensare che Viola è stata assolta da ogni responsabilità.

Purtroppo il codice penale non prevede una via di mezzo tra dolo e colpa, però una cosa è certa, forse parlare di dolo è troppo, ma fermarsi alla colpa, se non altro per l’omissione di soccorso che poi ha portato alla morte, è poco.

Per quanto riguarda le indagini tecniche sulla scena del crimine, invece, le questioni da evidenziare sono diverse.

Per prima cosa la ricerca dei residui dello sparo, effettuata su Antonio, Martina e Federico; l’esame non è stato eseguito sulla moglie di Antonio e su Viola, la fidanzata di Federico, ambedue presenti all’evento. Cosa ha portato ad escludere l’esame sulle due donne?

Poi abbiamo l’esito dei riscontri sui residui dello sparo rinvenuti sui tre familiari, ovvero, sugli indumenti di Antonio nr. 12 particelle, sugli indumenti di Martina nr. 18 particelle, sugli indumenti di Federico nr. 47 particelle delle quali nr. 40 sui pantaloni; stando alle particelle, chi ha sparato? Non è facile dare una risposta a questa domanda basandosi sulle particelle di antimonio/piombo/bario, ma se affiancassimo questo dato scientifico alle affermazioni di Antonio al Brigadiere dei Carabinieri, ed allo scambio di informazioni derivanti dalle intercettazioni, certamente qualche dubbio su cosa sia avvenuto viene, come viene il dubbio che probabilmente non è stato approfondito bene il tutto.

Come sembra poco sviluppato lo studio su dove sia avvenuto lo sparo; secondo la ricostruzione della famiglia Ciontoli, poi di fatto presa per quella vera, lo sparo sarebbe avvenuto nel bagno. Però un elemento particolare qualche dubbio lo fa venire. Nella cameretta di Martina vengono rinvenute le scarpe da tennis di Marco, sulle stesse si rinvengono chiazze di sostanza ematica (sangue) e viene riscontrata la presenza di residui dello sparo. La domanda è ovvia, come potevano essere riscontrate quelle tracce sulle scarpe se le stesse erano in una stanza diversa da quella dove sarebbe avvenuto lo sparo? Di conseguenza una ulteriore serie di domande: dove è avvenuto lo sparo? È vero che Marco era nudo al bagno? è possibile che Marco è stato colpito dal colpo di pistola in un luogo diverso da quello della ricostruzione?

Poi ci sono tanti altri elementi dubbi, strani e poco chiari non sufficientemente valutati e studiati, come indumenti di Marco scomparsi che poi invece si vedono presenti sulle fotografie, scattate nella cameretta della fidanzata, fatte dai Carabinieri sulla scena del crimine, la maglia con la quale Marco sarebbe arrivato nella casa dei Ciontoli, mai ritrovata, una scena del crimine ripulita e mai sottoposta a sequestro, un’indagine tecnica per ricercare tracce ematiche anche se lavate, con il “luminol”, ad esempio, mai eseguita, ed infine, cosa a mio parere gravissima, il rifiuto da parte del P.M. di far eseguire un sopralluogo dei Consulenti Tecnici di Parte, incaricati dalla famiglia di Marco sulla scena del crimine.

Testate giornalistiche, talk show televisivi, hanno discusso tantissimo sulla condanna e sul ribaltamento da dolo a colpa; certamente, come ho esposto sopra, la situazione è molto ambigua e doverosa di approfondimenti più corposi, anche se, in tutta sincerità, non è facile dare una spiegazione logica sul discorso dolo o colpa. Abbiamo due fatti reato, secondo me, lo sparo, dove stando alle cose emerse, forse la colpa è valutabile positivamente, poi abbiamo l’omissione di soccorso, e qui sicuramente la questione è molto più profonda doverosa di valutazioni più attente.

Certamente, invece, con molta probabilità non si è scesi con la dovuta attenzione nella valutazione dei riscontri oggettivi, nei rilievi sulla scena del crimine, studio e valutazione della stessa, e di quanto è emerso dalle indagini di P.G., in particolar modo con una doverosa attenzione alle intercettazioni ambientali.

Ho sempre sostenuto in tantissimi articoli che la scena del crimine parla, si deve ascoltare, si deve comprendere, bisogna saperla leggere senza dare nulla per scontato, e se questo non si fa, si fa male o con scarsa attenzione, poi i conti potrebbero non portare.

Accattoli Gabriele

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2 commenti

  1. Mi sembra evidente che la famiglia Ciontoli sia stata trattata con molti “riguardi”. In compenso la madre del povero ragazzo morto è stata anche minacciata di allontanamento da parte dei giudici durante la lettura della sentenza di appello. Ma la verità è stata cercata oppure si è fatto di tutto per aggiustare una versione “accettabile”? Poi vuol dire nulla che il signor Ciontoli facesse parte dei servizi segreti militari? Il solo termine servizi segreti in Italia a me fa venire in mente tante cose inquietanti, la strage di Ustica tanto per ricordare una cosa avvenute giusto quaranta anni fa, certi depistaggi della stagione delle stragi, la pista Valpreda poi rivelatasi del tutto inventata, e per venire più vicino a noi l’omicidio di Ilaria Alpi, l’omicidio Borsellino con due innocenti in galera per decenni. Dalla mia infanzia in poi una serie di misteri fitti su cui almeno i media fanno bene a tornare di tanto in tanto.

  2. X giustizia on

    I membri tutti di quella famiglia che copre mentendo l assassino di un giovane splendido ragazzo, andrebbe incarcerata fino confessione avvenuta. 30 anni a tutti in caso di reticenza. Altro che servizi segreti. Servizi igienici segreti.!!!!!

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