Questo abbozzo di riflessione nasce in seguito al drammatico fatto accaduto a Recanati (MC), dove una quindicenne è caduta da una finestra del Liceo Scientifico.
Il punto non è che una ragazza di quindici anni è caduta o si è lanciata da una finestra del Liceo di Recanati.
E il punto non era la drammatica morte di Leonardo, coetaneo di Senigallia.
Il punto siamo noi, tutti e tutte noi. La società che siamo, le fragilità che viviamo, la nostra capacità di prendercene realmente cura.
Possiamo provare ad ascoltare, senza giudicare, valutare e commentare?
Il respiro, i bisogni profondi. Il battito del cuore.
Fermare il treno.
Il treno della comunicazione impazzita, dei commenti, delle chiacchiere.
Il treno del tempo veloce, del pensiero fragile e banale.
Il treno delle prestazioni, dei voti, dei giudizi.
Di nuovo, dei giudizi.
Forse, è ora soltanto di metterci in ascolto.
Della fragilità nostra. Della fragilità delle generazioni più giovani.
Perché la fragilità dei giovani non è individuale, non riguarda solo loro. La loro fragilità è la fragilità che attraversa tutte le persone.
Contiene futuro.
I bambini e le bambine, le/gli adolescenti, sono come piante germinate. Morbide, senza la scorza dura esterna. Tronchi senza corteccia.
E sono proprio gli alberi senza corteccia che si accorgono per primi di ciò che fa male, che ferisce, che uccide il bosco e il mondo intero.
Bonifichiamo il terreno.
Togliamo i commenti facili, i giudizi sommari.
Togliamo il bullismo e la perenne colpevolizzazione degli adolescenti.
Togliamo l’idea che i problemi dei giovani siano prodotti dai giovani stessi. Questo è falso, ma anche comodo e ipocrita.
Togliamo l’educazione censoria, quella punitiva, repressiva, autoritaria, adultocentrica.
Togliamo le etichette e la voglia di patologizzare ogni cosa.
Togliamo quell’idea tossica di sicurezza che niente c’entra con l’autodeterminazione.
Qualcuno ha detto: se una ragazza si è lanciata dalla finestra, il problema era la mancanza delle sbarre.
Ma davvero???
Bonifichiamo il terreno dall’indifferenza e dal disinteresse, come hanno scritto le studentesse recanatesi. Il vero dramma sta in chi ha continuato a fare lezione come nulla fosse.
Senza una parola, un commento. Poveramente.
Finita la bonifica, proviamo ad arare. Ariamo. Che significa muovere il terreno ma anche dare aria. Ariamo.
Siamo più fragili di prima? Perché?
Perché l’ansia e la depressione sembrano essere mali generazionali, come mai prima d’ora?
Quanto e in che modo stiamo riducendo il livello delle relazioni, che sono il terreno della condivisione e della rielaborazione delle emozioni?
La sfida a meritarci le cose, quanto strozza e quanto poco libera?
Dove nasce la fatica nel gestire la frustrazione, i conflitti e le tensioni?
In che modo il mondo che abitiamo, pieno di dispositivi e vuoto di spazi sociali, ci sta indebolendo?
Non è il tempo delle risposte facili. È il tempo dell’ascolto. Da farsi insieme.
4 commenti
Bravo Stefano, dovremmo essere cosapevoli della poverta’ culturale ed emotiva in cui viviamo, altrimenti non se ne viene fuori.
Se è vero che le lezioni sono continuate…. non ci sono parole! Vergogna!!!
Casulli. Demagogo!
Bravo e grazie per questo spunto per riflettere.