Art. 533 Codice di Procedura Penale
- Il giudice pronuncia sentenza di condannase l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza……….
In più articoli che fino ad oggi ho scritto, mi sono trovato ad evidenziare l’importanza di infliggere una pena, seguendo la logica del “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Questo indirizzo legislativo non è frutto di un ragionamento logico, per quanto comunque dovrebbe essere, ma è previsto dal Codice di Procedura Penale, e precisamente dal primo comma dell’art. 533, con il quale ho iniziato.
Seguendo questo dispositivo di legge, non è mio intento valutare l’innocenza o la colpevolezza di un individuo, non spetta certamente a me questo compito, però ritengo opportuno aprire una finestra di riflessione su quei casi dove, a mio parere, il suddetto dispositivo forse potrebbe sembrare discutibile.
Ho parlato in precedenza di diversi casi di cronaca, andando a sollevare perplessità in riferimento a decisioni prese, relativamente allo studio di dati “oggettivi” e “soggettivi”, i primi riscontri probatori certi, i secondi basati sul libero convincimento delle valutazioni personali.
Il caso che voglio presentare oggi non è da meno, la morte di Elena Ceste, scomparsa il 24 gennaio 2014 e rinvenuta cadavere il 21 ottobre successivo, all’interno di un canale di scolo situato ad una distanza di un chilometro circa dall’abitazione della donna.
Anche per il caso di Elena, il forte dubbio che pervade la mia mente, il mio ragionamento, è quanto possa aver influito sull’esito della definizione della vicenda, il processo mediatico e la volontà/necessità di voler trovare l’autore del reato ad ogni costo, compreso quello del potenziale errore giudiziario.
Nel caso di Elena Ceste, a differenza dell’ultimo mio articolo, quello di Roberta Ragusa, abbiamo il cadavere della povera donna, ma fermiamoci lì. Non risultano altri riscontri “oggettivi”, non c’è un’arma del delitto, non ci sono tracce di colluttazione, non ci sono tracce biologiche o altro nell’autovettura. Anche il cadavere, purtroppo, visto l’avanzato stato di putrefazione, in sede autoptica non ha dato riscontri utili per definire, con certezza eventuali traumi o azioni violente, di fatto, l’esame autoptico, non ha potuto stabilire quali siano state le cause che hanno portato al decesso. L’unico elemento oggettivo, apparentemente esistente, sembra essere il collegamento del cellulare del marito a delle celle telefoniche compatibili con il luogo del rinvenimento.
Nonostante tutto, il marito, Michele Buoninconti, in tutti e tre i gradi di giudizio è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio di Elena e condannato a 30 anni di reclusione.
Il ragionamento dell’accusa, accolto dai giudici, che ha poi portato alla condanna, è che il marito, per gelosia, morboso attaccamento alla moglie, dopo aver scoperto che la donna aveva delle relazioni extraconiugali, l’avrebbe uccisa, nascosto il cadavere e depistato le indagini per garantirsi l’innocenza.
Questo abbiamo, un cadavere di una persona sulle cui cause della morte non si sa nulla, ed una valutazione e ricostruzione soggettiva sull’accaduto e conseguente responsabilità del marito, non altro, o quantomeno nient’altro dato a sapersi,agli organi di stampa. Di fatto non esiste alcuna prova che Elena sia stata assassinata, non è dimostrato da nessun atto, da nessuna perizia, nessuna prova scientifica, solo ipotesi.
Al di là di ogni ragionevole dubbio, Michele Buoninconti, sempre proclamatosi innocente, è stato condannato a 30 anni di carcere……
Ma come in ogni caso di cronaca, ci sono tanti retroscena, che vanno dal semplice gossip, a valutazioni tecnico/scientifiche, nonché valutazioni sullo svolgimento delle indagini.
Il primo elemento da evidenziare, importante per le valutazioni scientifiche proposte, riguarda lo stato di rinvenimento di Elena, ovvero, nei pressi o dentro il canale completamente nuda; questo particolare ha fatto emergere delle teorie medico/psichiatriche che più avanti vedremo.
Il secondo elemento, al quale non riesco a dare una spiegazione, è come siano state condotte le ricerche della donna, se mai siano state fatte. Il corpo giaceva ad una distanza fondamentalmente piccola dall’abitazione, una chilometrata, è mai possibile che i cani molecolari non siano riusciti a rintracciare il corpo? Qui il dubbio se le ricerche siano state effettuate concretamente. L’eventuale rinvenimento del corpo nei giorni dopo la scomparsa, avrebbe consentito di avere in fase di esame autoptico molte indicazioni, oggettive, certe e scientifiche sulla causa della morte, così invece, abbiamo un vuoto di dati oggettivi di non poco conto, in base ai quali, la difesa del marito, come ovviamente deve essere, tenta di inserire la propria ricostruzione dei fatti per arrivare alla riapertura del processo.
Poi abbiamo le due figure, Michele ed Elena. L’uomo l’ho in parte già presentato, dicono che fosse stato morbosamente attaccato alla moglie, geloso, una sorta di padre e padrone che sottometteva la moglie relegandola alla cura di casa, dei quattro figli e delle galline. Una figura oppressiva che creava in Elena uno stato di sottomissione, privandola degli interessi che una donna di 34 anni avrebbe voluto curare. Un “ipertrofico” nell’ambito familiare, che trasmetteva quel suo chiaro controllo che aveva verso la moglie, così fu definito.
Elena era stata presentata come una donna casa e chiesa, dedita alla cura della famiglia senza stravaganze o grilli per la testa. Ma purtroppo, a voce di popolo non era così, la donna aveva una vita parallela, una seconda vita, con rapporti extraconiugali, accertati due, che presentano una donna non proprio sottomessa. Una donna, come del resto l’intero paese e zone limitrofe, “timorata di Dio”, forse inserita o caduta in un contesto sociale che lo pone al primo posto del nostro paese come proliferare di sette esoteriche, il sacro ed il profano conviventi. L’idea di alcuni, sposata dalla difesa del marito, vorrebbe ritenere che Elena, sopraffatta e confusa, avesse voluto porre fine alla vergogna e relativi drammi causati da essa, l’insopportabile vergogna al cospetto della comunità del suo paese.
Viene spontanea la domanda, ma di cosa si doveva vergognare?
Elena aveva due relazioni extraconiugali che, a dire di uno degli amanti, presentava Elena come una persona diversa da quella che si credeva fosse “…sessualmente parlando, era molto disinibita, le piaceva l’erotismo. Appariva molto libertina e saltava da un rapporto ad un altro…”.
Secondo delle ricostruzioni investigative, forse da parte della difesa del marito, sembrerebbe che Elena era a conoscenza che le telecamere di sorveglianza di un centro commerciale, l’avrebbe ripresa mentre si era “trasgressivamente” appartata con l’amante. Secondo l’equipe della difesa, questo fatto aveva provocato in Elena un conflitto interiore devastante, un profondo turbamento, per il senso di colpa della sua condotta al cospetto della piccola comunità.
Sicuramente emblematico e di non poco conto, è un messaggio inviato da Elena ad un suo amante. Il messaggio, agli atti degli inquirenti, potrebbe dare un presagio di intento suicida, si legge “hai creato in me una violenza psicologica che porta al suicidio ti definivi rimbambito per essere gentile io provo solo pietà di fronte al male ho la pazienza che mi rende forte e i miei figli che mi danno la vita”.
Lo psichiatra nominato Consulente Tecnico dalla Procura, aveva diagnosticato che Elena era in preda a fenomeni di “psicosi”. La Procura, però, nonostante il parere del proprio consulente, non ritenne di prendere in considerazione questo aspetto che, avrebbe probabilmente messo in discussione la teoria accusatoria nei confronti del marito.
La difesa, al contrario, nel sostenere che Elena non sia stata uccisa, per conto di un proprio consulente, evidenzia che la pratica dei denudamenti quotidiani di soggetti in preda alla psicosi, dimostrerebbero che la donna, la mattina della scomparsa, era in uno stato confusionale in preda a psicosi, si sarebbe denudata, avrebbe raggiunto il canale, ed a causa della bassa temperatura sarebbe morta.
Il denudamento è letto come un atto espiatorio per spogliarsi, liberarsi, dalle colpe che affliggono l’anima ed il corpo, riferendosi ai sensi di colpa e paura del giudizio popolare per le sue relazioni extraconiugali.
Secondo la difesa questa è l’unica ricostruzione logica di quanto accaduto e l’assenza di segni di una morte violenta ,sui resti della povera donna, l’assenza di segni ti colluttazione anche sul corpo del marito, l’assenza di segni di trasporto del cadavere sull’auto del marito, non possono dare che una lettura, l’innocenza di Michele.
A sostegno di questa tesi, la difesa, ha predisposto proprio in questi ultimi giorni degli accertamenti tecnici irripetibili su campioni biologici raccolti dai consulenti di parte della difesa, sul canale dove era stato rinvenuto il cadavere di Elena, la scena del crimine.
In tutta franchezza non riesco a comprendere, forse perché non sono un biologo, come l’esame di reperti biologici possano dimostrare che Elena sia deceduta a causa del freddo, ipotermia, però, se loro ritengono che sia possibile, al fine di scoprire la verità che ben vengano questi accertamenti.
Resta solo un fatto, per ora, come per altri casi di cronaca, la base del processo e relativa condanna, sembra essere avvenuta su indizi e su ricostruzioni soggettive dettate da una propria logica accusatoria, senza riscontri oggettivi di prove certe, preferendo indirizzi che, con molta probabilità, sono più consoni ed appaganti ad un’opinione pubblica e mediatica dove sembra volere, sempre, che la responsabilità debba ricadere sul marito.
Non è facile dire se Michele Buoninconti è colpevole o innocente, le tesi accusatorie sono ben elaborate e ragionate, ma anche qui nella stessa misura lo sono quelle difensive; tesi, ambedue, basate su elementi soggettivi, senza alcun riscontro di dati oggettivi e prove certe.
E qui riprendendo l’inizio dell’articolo, al di là di ogni ragionevole dubbio, non so se questo dispositivo di legge sia stato pienamente e con ponderatezza applicato.
Concludo questo articolo con un irrispettoso ed ironico consiglio, se qualcuno ha intenzione di uccidere la propria moglie, per prima cosa vi invito a ripensarci, la vita è una cosa bella e nessuno ha il diritto di toglierla ad altri, ma se proprio non potete farne a meno di macchiarvi la coscienza, fate attenzione a scegliere bene il luogo dove commettere il crimine ove poi sarà improntato il processo, ad Asti, per l’omicidio della moglie, non confessato, danno 30 anni, caso Elena Ceste, a Pisa ed Ascoli Piceno, se non confessato, ne danno 20 di anni, casi Roberta Ragusa e Melania Rea, a Genova se confessate e impietosite il giudice ne danno 16, caso Jenny Reyes….La legge è uguale per tutti!
Accattoli Gabriele
4 commenti
Peccato che il marito abbia sistematicamente mentito agli inquirenti.
Peccato che la sua ricostruzione dei fatti non sia mai stata credibile e che nessuno gli abbia mai creduto in ben tre stati e gradi di giudizio, sia i PM che i Giudici.
Peccato che la ricostruzione dei fatti del marito sia stata appositamente fatta in cattiva fede per costruirsi un alibi.
Ma soprattutto il più grande peccato è: se una persona si vuole suicidare si getta in un fosso alto un metro e mezzo??? Per annegarsi in un’acqua alta si e no 50 cm??? Non scherziamo, per favore. Vorrei sapere quanti si sono suicidati in questa maniera assolutamente improspettabile.
Non entro nel merito delle considerazioni molto dettagliate dell’autore dell’articolo ma per una volta sono completamente d’accordo con la magistratura. Prima ancora di averla uccisa materialmente il marito l’aveva uccisa psicologicamente controllandola nel denaro, quattro figli e le galline….ma scherziamo, questa è la morte civile. Un’altra donna che o non ha chiesto aiuto oppure, se anche lo ha chiesto, non è stata ascoltata. Svegliamoci donne, la prima cosa è il lavoro e l’indipendenza economica e per i figli meglio l’inseminazione artificiale così non ci sono mariti che possano rompere le scatole scoprendosi affetti da tanta voglia di paternità solo per ricattare le mogli quando queste si convincono a farli fuori.
Ci sono molti casi in cui sembra che vengano fatte ricerche minuziosissime a largo raggio e poi invece si scopre che i “poveri resti” sono nelle immediate vicinanze. Oltre a Elena Ceste, penso a Yara Gambirasio e alla ragazzina Cameney trovata a Porto Recanati nei pressi dell’Hotel House dove abitava il suo fidanzatino. Scrive il Manzoni nel capitolo decimo dei Promessi Sposi a proposito di una conversa scomparsa dal monatero di Monza e cercata ovunque fino in Olanda: “forse se ne sarebbe potuto saper di più se invece di cercar lontano si fosse scavato vicino”.L’assassino di Cameney è libero e questo è un gravissimo vulnus, in particolare per tutte le donne.
Comprendo le osservazioni e ringrazio comunque per la vostra attenzione. Volevo solo evidenziare che non sono sceso nel dire se colpevole o innocente, ma ho semplicemente esaminato un caso relativamente ai dati oggettivi e soggettivi. Ritenendo, questo si, che arrivare ad una condanna solo su indizi maturati da una convinzione soggettiva, non supportata da prove scientifiche, potrebbe essere, per tutti, un elemento pericoloso.
Il mio interesse per queste vicende e’ quello di esaminare le attività ed i riscontri di carattere criminalustico, prove certe. Poi il libero convincimento è sicuramente un elemento che tutti abbiamo e di tutti va rispettato, compreso anche quello della giustizia.
Poi, ma solo per precisione, non ho mai accennato al suicidio come gesto diretto, ma se si, ma solo come ipotesi, tra l’altro presentata e valutata da una psichiatra criminologia, di conseguenza indiretta, la morte, per un episodio di crisi psicotica.
Per le ricerche, non parliamo di una località boschiva, impervia, ma di semplice zona agricola ben arrivabile e ben perlustrabile, dove le ricerche potevano essere esperite più approfonditamente.
Comunque, grazie per i commenti, tutto serve per crescere ed imparare.