Nel piano nobile di Palazzo Baldeschi a Perugia è in corso fino al prossimo 2 ottobre la raffinata ed emozionante mostra Nero Perugino Burri, un dialogo tra le opere di due grandi artisti umbri nati in periodi diversi ma accomunati dall’utilizzo del colore nero.
La storia di questo colore affonda le sue radici nella cultura dell’uomo attraverso gli usi sociali, (dalla religione, alla moda, alla fotografia, al cinema, al design), diventando leggenda. Nell’arte sono molti gli artisti che hanno avuto e hanno la passione per il nero e tanti, sia emergenti sia maestri, riattualizzano il colore erede della tinta dei principi del Rinascimento. Alberto Burri, Enzo Cucchi, Omar Galliani, per citarne solo alcuni, senza dimenticarsi di Manet e Matisse, hanno utilizzato il nero in modo ineccepibile. Oggi l’artista anglo-indiano Anish Kapoor (Bombay, 1954) è l’unico ad usare il nero più nero Vantablack S-VIS, un materiale che intrappola il 99,96% della luce che lo colpisce.
Questa mostra mette in dialogo le opere dei due grandi maestri umbri. Pietro di Cristoforo Vannucci, noto come il Perugino o il divin pittore, usa il Nero come fondo per isolare i personaggi rendendoli emblematici. Nelle opere in mostra non troveremo sullo sfondo, come nei suoi migliori dipinti, architetture prospettiche o dolci colline punteggiate da alberelli delicati e frondosi tipici della scuola umbra, con le montagne lontane sfumate secondo le regole della prospettiva aerea, ma solo una profonda oscurità da cui emergono figure di straordinaria bellezza e spiritualità.
Per Alberto Burri il nero è il vero soggetto delle opere qui esposte. Burri il “maestro dei neri”, l’artista che amava Annottarsi (titolo di opere pittoriche del 1987), analizza i vari livelli di profondità e sacralità del Nero attraverso la materia-colore modulata da toni su toni, da forme plurime e differenti nate dalla sua fervida immaginazione. Sono immagini solenni e grandiose che suscitano stupore e mistero. Nelle due opere a fine mostra Burri inserisce nel Nero una sottile foglia oro che richiama alla mente l’arte bizantina o il culto alchemico. Burri è un artista “classico”. Nelle sue opere si riscontrano la sua conoscenza dell’arte italiana rinascimentale e un’attenzione particolare per gli elementi geometrici, per l’analisi compositiva e il suo equilibrio, compreso il particolare utilizzo dello spazio come nei più grandi artisti rinascimentali.
Un dialogo coinvolgente e comprensibile quello tra i due artisti, aiutato da un allestimento ad hoc che si sviluppa in un percorso al buio dove ogni particolare delle dieci stanze è azzerato per dare risalto alle opere dei due artisti abbinate in coppia su associazioni di colori, forme o temi.
Il Perugino è nato a Città della Pieve nel 1450 circa. È stato maestro di Raffello ed ebbe il ruolo di assoluto protagonista del Rinascimento per almeno due decenni. Nella parte finale dell’attività, vide sfumare il suo primato artistico. Le opere prodotte in questa fase, purtroppo, conobbero l’insuccesso e la tradizione critica, iniziata con la descrizione poco lusinghiera del Vasari, ci consegna l’immagine di un Perugino monotono e ripetitivo. Sarà solo nell’ottocento e Novecento che nuovi studi portano a comprendere la portata innovativa della sua arte e la sua figura ritorna ad occupare il posto che le spetta nell’arte italiana. Per i primi 35 anni di attività è stato un grandissimo innovatore, inventore d’un nuovo linguaggio che unisce la tipica dolcezza della pittura umbra con la razionale struttura dei fiorentini e l’influenza fiamminga per i particolari. Perugino se fu uno straordinario interprete delle figure femminili, nei ritratti era solito abbandonare la vena dolce e idealizzata delle opere religiose, indagando a fondo la fisionomia; anche in questo caso molti dettagli sono resi con grande cura millimetrica. Innovatore anche nella tecnica pittorica, fu il primo a passare dalla pittura a tempera a quella a olio. È stato definito da un grande studioso come Lionello Venturi, nel suo volume sugli affreschi del Collegio del Cambio, come “il più tradizionale tra i pittori moderni e il più moderno fra i pittori tradizionali”. Muore di peste a Fontignano (PG) nel 1523.
Alberto Burri nasce a Città di Castello, in provincia di Perugia, nel 1915. Studia alla facoltà di Medicina di Perugia e nel 1940 viene richiamato alle armi come medico di guerra. Nel 1943 viene catturato dagli inglesi e imprigionato dagli americani in Texas, dove nel 1944 viene inserito tra i fascisti irriducibili perché rifiuta di firmare una dichiarazione di collaborazione. È in questo periodo che Burri decide di dedicarsi al mondo dell’arte e alla pittura e proprio in carcere realizza il suo primo quadro. Tornato libero, nel 1946 Burri arriva a Napoli e successivamente si trasferisce a Roma. La svolta non figurativa risale al 1948 con i Catrami e le Muffe, affermandosi poi con i suoi celebri Sacchi. La sperimentazione di materiali inusuali ha coinvolto diverti supporti, come legno, ferro, plastica e cellophane: grazie a questa sua eterogeneità, Alberto Burri è diventato un punto di riferimento per la corrente dell’Informale materico. Un aspetto importante da evidenziare è che il carattere inedito della sua pratica artistica non si può ridurre solo alla varietà dei materiali, ma soprattutto al modo con il quale Burri è intervenuto su di essi. Nel 1979 inizia il processo di realizzazione dei Cicli, opere monumentali conservate nel museo Burri degli Ex Seccatoi del Tabacco nella Città di Castello. Muore a Nizza nel 1995.
La mostra organizzata in occasione del Cinquecentenario dalla morte del Perugino, è nata da un’idea della Fondazione Perugia e realizzata in collaborazione con Fondazione Burri. I curatori Vittoria Garibaldi storica dell’arte e Bruno Corà Presidente di Fondazione Burri, hanno trovato nell’opera del Perugino “Madonna con il Bambino e due cherubini”, una pregiata tavola dal sapore intimo e familiare conservata proprio nella collezione permanente di Fondazione Perugia, l’inizio per indagare sull’uso dello sfondo nero in alcune opere del Perugino, tutte di piccolo formato e datate a cavallo tra il XV e il XVI secolo. La ricerca ha permesso di ottenere importanti prestiti, come lo splendido Ritratto di Francesco delle Opere, probabilmente dipinto a Venezia, e il Ritratto di giovinetto, provenienti dalla Galleria degli Uffizi, e ancora la Madonna con Bambino tra San Giovanni e Santa Caterina del Museo del Louvre.
-Nikla Cingolani