“Il tuo denaro ha bisogno di essere purificato” e così scatta la maxi truffa da oltre un milione di euro messa in atto dal 2011 al 2018 da tre recanatesi nei confronti di 6 concittadine assistite dall’avvocato Alessia Pepi. Al via ieri il processo nei confronti dei recanatesi G.R., del padre O. e del marito L.P..
La donna sarebbe riuscita a far credere ad una sua vicina, particolarmente fragile e credulona, che lei era in grado di compiere una serie di riti di purificazione sul suo denaro in modo che non le avrebbe più in futuro creato problemi a lei e alla sua famiglia. Ed è stata proprio lei a convincere anche altre sue 5 amiche a fare altrettanto e a fidarsi della donna a cui avrebbero versato somme in contanti da purificare per assicurare la salute ai familiari. In tutto la bella somma di un milione e 113mila euro.
Ma quando le donne hanno incominciato a chiedere indietro i loro soldi e non sono riuscite ad avere nulla, hanno finalmente capito di essere state raggirate e da qui è scattata la denuncia. Quei soldi – dalle indagini effettuate dagli inquirenti – erano finiti nelle mani di un altro familiare e di loro si erano perse ogni traccia. Così sono finiti sotto accusa i tre recanatesi: i primi due perché avrebbero preso i soldi dopo avere inventato la storia del rito purificatorio e l’altro perché avrebbe materialmente versato le somme su conti correnti diversi, soldi che sarebbero stati utilizzati anche per pagare le rate del mutuo della casa.
Naturalmente i tre respingono ogni accusa. Ieri per loro si è tenuta la prima udienza e i prossimi appuntamenti in Tribunale sono per maggio e giugno
4 commenti
Nomi grazie. non iniziali. certa gente va messa alla gogna anche se certe persone gli credono.
penso che se uno sa di aver denaro guadagnato con il sudor della fronte,e non è un perfetto coglione,non dovrebbe sentire alcun bisogno di purificazione di quanto è riuscito ad accumulare.
Quindi?
Perchè nascondere i nomi dietro indecifrabili sigle? Il processo è pubblico e lì i nomi vengono fatti con precisione. Nasconderli in una “notizia” è testimonianza di bigotto provincialismo e di assenza di consapevolezza professionale.