Con una sentenza emessa il 23 novembre scorso, il Tribunale di Macerata ha ordinato alla Banca di Credito Cooperativo di Recanati e Colmurano di restituire a Monia Cimini la somma di 30.000 euro. La decisione è arrivata dopo che il giudice Silvia Grasselli ha accertato la falsificazione delle firme su documenti bancari utilizzati per giustificare operazioni mai autorizzate dalla cliente.
La vicenda
La controversia risale al 2014, quando Monia Cimini aveva costituito un pegno su un certificato di deposito del valore di 50.000 euro per garantire un mutuo concesso dalla banca allo Studio Commerciale Moriconi. Alla scadenza del certificato, nel 2017, l’istituto aveva reinvestito parte della somma (20.000 euro) in un nuovo certificato vincolato e destinato i restanti 30.000 euro alla sottoscrizione di una polizza assicurativa “Eurovita”.
Tuttavia, la Cimini ha denunciato la falsificazione delle firme necessarie per tali operazioni, sostenendo di non aver mai autorizzato né l’integrazione del pegno del 2018 né il contratto per la polizza assicurativa. Inoltre, ha contestato il mancato rimborso del capitale alla scadenza del certificato. Una mediazione iniziale con la banca si è conclusa senza esito, portando la questione in tribunale.
L’accertamento tecnico e il verdetto
Durante il processo, è stata disposta una perizia grafologica per verificare l’autenticità delle firme contestate. Il perito incaricato, Riccardo Sgalla, ha confermato che le firme non erano riconducibili alla mano della Cimini, smentendo così la testimonianza di una dipendente della banca, che aveva dichiarato di aver assistito alla sottoscrizione.
Nel corso dell’udienza, la banca ha ammesso l’esistenza di discrepanze tra l’originale e la copia dell’atto integrativo del pegno, sostenendo che alcune firme erano state aggiunte successivamente per correggere presunti refusi. Tuttavia, il giudice ha respinto questa spiegazione, evidenziando gravi lacune nella trasparenza della gestione documentale.
Il tribunale ha stabilito che la sottoscrizione della polizza “Eurovita” per 30.000 euro era priva di giustificazione causale, configurandosi come indebita. Al contrario, ha ritenuto valido il vincolo di 20.000 euro sul nuovo certificato di deposito, coerente con il contratto originario di pegno.
Le condanne
La banca è stata condannata a restituire 30.000 euro alla cliente, con l’aggiunta degli interessi legali, e a rifonderle le spese legali per un totale di 5.518 euro. Inoltre, il giudice ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura per indagare su eventuali responsabilità penali della dipendente della banca, accusata di aver reso false dichiarazioni in aula.
La sentenza segna un duro colpo per l’istituto di credito, sottolineando l’importanza della correttezza nella gestione documentale e la tutela dei diritti dei clienti.
7 commenti
La tua banca è differente
bene! mai piaciuta la BCC…
e viene indagata solo la dipendente? nulla sulla responsabilità dei dirigenti?
Ogni tanto qualche banca… inciampa. Adesso vedremo cosa fa la Procura.
Chi c’erano nei vertici in quel 2014 nella gestione della Banca di Credito Cooperativo di Recanati e Colmurano?
Dalla BCC non me l’aspettavo proprio. Adesso voglio vedere se il Presidente della banca ha il coraggio di licenziare per giusta causa il (i) dipendente infedele che con il suo comportamento ha gravemente violato le norme, i regolamenti e le procedure interne della banca, ma soprattutto ha creato un danno all’immagine alla banca stessa, altrimenti chiudo il conto corrente.
o se magari c’era qualche responsabile competente a conoscenza della cosa….
Nel 2014 chi era il Presidente e chi era il Direttore generale della BCC??