Nelle scorse settimane i finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Ancona hanno eseguito un provvedimento di confisca per un valore di 420.000 euro, nei confronti di un imprenditore settantenne di Osimo. La misura è stata disposta nel corpo di una sentenza irrevocabile di condanna a sei mesi di reclusione per il reato di omesso versamento di ritenute certificate, emessa dalla Corte di Appello di Ancona e confermata definitivamente dalla Suprema Corte di Cassazione.
Il procedimento è stato avviato sulla base delle risultanze di accertamenti eseguiti da funzionari dell’Agenzia delle Entrate di Ancona nei confronti della società in cui il citato imprenditore rivestiva la carica di socio e legale rappresentante, operante nel settore della fabbricazione di componenti elettronici, che hanno permesso di acclarare che il medesimo non avrebbe provveduto a versare le ritenute effettuate sugli stipendi dei dipendenti della ditta negli anni 2011 e 2012.
A seguito dell’emissione della sentenza con cui è stata disposta la confisca, sono stati delegati degli approfondimenti investigativi al Nucleo di polizia economico-finanziaria, finalizzati ad una ricostruzione della capacità patrimoniale e finanziaria del soggetto ed individuare i beni da sottoporre alla misura. Il provvedimento è stato quindi eseguito su un conto corrente bancario e due fondi pensione, su tre unità immobiliari, due terreni e due autoveicoli riconducibili all’imprenditore osimano condannato, riuscendo così a mettere al sicuro il credito vantato dal Fisco.
L’attività eseguita è il frutto dalla stretta sinergia tra Procura della Repubblica di Ancona, Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate, sancita dalla stipula nel giugno 2019 di un importante Protocollo d’intesa finalizzato a rafforzare il coordinamento nel settore dei reati tributari attraverso una maggiore ed efficace circolarità delle informazioni. In tale contesto, assume ancora più efficacia l’impegno finalizzato a contrastare ogni forma di evasione fiscale, che costituisce grave ostacolo allo sviluppo economico del Paese perché distorce la concorrenza e l’allocazione delle risorse, mina il rapporto tra cittadini e Stato e penalizza l’equità, sottraendo spazi d’intervento per le fasce più deboli.