Come avevo preannunciato nell’ultimo articolo oggi parlerò della morte del cantante Luigi Tenco. Mentre per le altre morti strane che ho trattato ho sempre cercato di rimanere il più imparziale possibile sulla valutazione personale riguardo la possibile verità, in questo caso, purtroppo devo ammettere che non ho molti dubbi, su come siano andate veramente le cose e la convinzione che Tenco sia stato ucciso è molto forte.
Indagini frettolose, manovrate ad arte, preconcetti forse di comodo, scena del crimine modificata ed alterata prima dei rilievi di Polizia Scientifica, testimonianze non considerate, indagini di criminalistica non fatte, o se eseguite, con riscontri a dir poco grotteschi.
Ombre troppo pesanti su figure ambigue che richiamano organizzazioni a dir poco discutibili, dalla mafia marsigliese, alla Loggia P2 per arrivare al SIFAR (Servizio Informativo Forze Armate), con un interessante intreccio di militanza ed impegno politico.
Luigi Tenco era nato a Cassine (AL) il 21 marzo 1938, non c’è bisogno di presentare Luigi Tenco come cantautore, compositore, polistrumentista, attore e poeta, ritengo che sia sufficientemente conosciuto. L’aspetto che forse non tutti conoscono riguarda, invece, non tanto l’idea politica, da sempre ritenuto un intellettuale di sinistra, ma la militanza nel Partito Socialista Italiano e soprattutto l’imminente ingresso nella vita politica come figura dirigente di quel partito. Come tanti intellettuali di sinistra era finito nei fascicoli segreti del SIFAR, come Pasolini, in quei fascicoli condivisi e richiesti dalla CIA dove venivano schedati elementi ritenuti pericolosi per la loro attività contestatrice e rivoluzionaria, in un precedente articolo, dove ho parlato della morte strana del Colonello Rocca, ho raccontato di questo fenomeno e degli obiettivi che si proponeva.
Ma veniamo ai fatti, poi più avanti riprenderemo questi aspetti.
La notte del 26 gennaio 1967, Luigi Tenco viene rinvenuto morto all’interno della camera nr. 219 da lui occupata dell’Hotel Savoy.
Nella ricostruzione delle ultime ore di vita di Tenco ha un peso particolare la partecipazione alla serata del Festival di Sanremo dove in duetto con la cantante Dalida aveva presentato la canzone “Ciao amore ciao”. La canzone arriva dodicesima e viene eliminata dalla competizione canora. Certamente questo fatto crea in Tenco un forte sconcerto, un senso di rabbia mista a delusione che lo porterà a fare qualcosa che segnerà per sempre la sua esistenza. Qualcuno ha detto che l’ha portato alla morte, e questo è vero, ma la domanda primaria è se lo ha portato alla morte per sua mano la delusione riguardo la competizione, o se la morte è arrivata per mano di terzi per le iniziative di protesta e denuncia che Tenco si stava preparando a fare?
Continuando con la ricostruzione delle ultime ore di vita, Tenco, insieme a Dalida ed altri amici dello staff e la casa discografica RCA, lasciano il teatro e si recano presso il ristorante “Nostromo” a pochissima distanza sia dal teatro che dalla dimora del cantante. Tenco, probabilmente sotto effetto di tranquillanti e con tanto dispiacere in corpo, lascia presto la compagnia per ritirarsi nella sua stanza d’Hotel.
In questo frangente temporale sembra non sia possibile, ricostruire dove Tenco sia stato prima di arrivare all’Hotel Savoy, di fatto il personale dell’Hotel non lo ha mai visto rientrare. Risulta che lo stesso abbia fatto due telefonate, mentre dal centralino dell’Hotel Savoy non risultano chiamate in entrata o uscita dalla stanza 219.
Tenco contatta telefonicamente il dirigente della casa discografica RCA, con il quale non riesce a parlare, poi chiama la sua fidanzata, Valeria, con la quale sfoga la rabbia per l’eliminazione che, secondo lui, è stata manovrata. Valeria riferirà che Tenco aveva intenzione di indire per l’indomani una conferenza stampa dove avrebbe denunciato il fenomeno delle scommesse clandestine che incombeva sulla competizione canora, denunciando chiaramente i nomi degli autori della questione. La conversazione dura circa un’ora, al termine della quale, Tenco sicuramente risollevato dallo sfogo, a dire sempre di Valeria, la informa che avrebbe scritto un promemoria per l’indomani per la conferenza stampa e che non appena terminato tutto sarebbero andati in vacanza in Kenya.
Nel frattempo la comitiva con la quale il contante era andato al ristorante era ancora lì, quando arriva una telefonata per Dalida, proveniente dall’Hotel Londra, che nulla aveva a che fare con l’Hotel dove soggiornava Tenco, e discretamente lontani l’uno dall’altro. L’interlocutore avvisa la cantante che Tenco aveva avuto un malore.
La comitiva, Dalida in primis, non sembrano affrettarsi più di tanto per accertarsi della situazione, infatti, a fronte di un tempo non superiore a cinque minuti per andare dal “Nostromo” al “Savoy”, la cantante arriva nella camera di Tenco dopo circa 40/45 minuti, dopo essersi fermata ad acquistare le sigarette e passata a prendere l’ex marito, Lucien Morisse.
Giunta nella camera 219, Dalida insieme all’ex marito, scoprono il cadavere di Tenco, disteso sul pavimento con una pistola nella mano destra.
Da qui in poi il caos, le discordanze e le assurdità investigative.
Dalida sembra aver urlato, un urlo isterico di pianto, che attira l’attenzione degli ospiti dell’Hotel, tra i quali, Lucio Dalla ed il Giornalista Sandro Ciotti, quest’ultimo dimorava nella stanza attigua a quella di Tenco. I due che ho nominato ed altri intervenuti sul posto, rilasceranno testimonianze discordanti sulla presenza della pistola, chi non l’ha vista, chi l’ha vista in fondo alla camera, chi sul comò e chi sulla mano destra di Tenco; l’arma della discordia, un’ombra oscura sul caso Tenco, poi più avanti la riprenderò.
Tutti i testimoni lì presenti, che occupavano le camere attigue a quella di Tenco, al contrario della pistola, sono tutti concordi su una cosa, tutti confermeranno di non aver sentito lo sparo di una pistola o un rumore comunque forte che potesse attirare la loro attenzione. Lo sparo, non so se ai lettori è mai capitato di sentire il rumore dello uno sparo di una pistola calibro 7.65, credetemi, alle una di notte, in un locale chiuso, è impossibile non udire il rumore della deflagrazione; il rumore doveva essere percepito fino a qualche centinaio di metri.
Vengono chiamati i soccorsi ed avvisata la Polizia. Qui entra in gioco una figura a dir poco ambigua, il Commissario della Polizia di Stato Arrigo Molinari, il quale, verosimilmente contattato da Dalida, dalla propria abitazione ed ancor prima di andare sul posto, chiama l’ANSA per dare la notizia del “suicidio” di Tenco.
Quando il Commissario Molinari arriva sul posto, ancor prima che fossero eseguiti i rilievi sulla scena del crimine da parte della Polizia Scientifica, dispone che il cadavere di Tenco sia rimosso e condotto all’obitorio. Successivamente, dopo un lasso di tempo non quantificabile, lo stesso Commissario fa riportare il cadavere di Tenco nella stanza del rinvenimento, lo fa ricomporre come era stato trovato, e dispone i rilievi della Polizia Scientifica. Anche questo lo riprenderemo più avanti.
Nel frattempo Dalida ed il suo ex marito, altra persona un pochino ambigua, cosa fanno? Praticamente niente, ovvero, dopo le urla di piando e richieste di aiuto, si sono dileguati dal posto, rendendosi irreperibili oltrepassando il confine in direzione di Marsiglia.
Sembrerebbe, secondo malelingue, che Dalida e Lucien Morisse, erano a conoscenza di minacce di morte fatte a Tenco e che loro stessi erano stati minacciati; che la telefonata ricevuta da Dalida quando era al ristorante possa essere stato un avvertimento in codice………
Dopo l’aberrante ricostruzione della scena del crimine, a cura del Commissario Molinari, si da inizio ai rilievi della Polizia Scientifica, i quali fissano alcuni punti, ovviamente della ricostruzione scenografica: la pistola sotto i glutei del cadavere; un solo foro sulla testa di Tenco; non viene rinvenuto il bossolo del colpo esploso; non si cercò il proiettile perché ritenuto trattenuto nella testa; non furono eseguite le ricerche di residui dello sparo; non furono citate nei verbali altre lesioni ben visibili e presenti sul volto e sulla nuca di Tenco. Praticamente rilievi fatti in fretta e furia che non furono seguiti né da una banale ispezione cadaverica, tanto meno da un esame autoptico.
Però, al contrario si concentrò l’attenzione sulla lettera di saluti lasciata da Tenco, dove spiegava il suo gesto.
Quella lettera rappresentò per gli inquirenti la prova madre del suicidio, ma probabilmente anche lì tutto venne fatto di corsa e di comodo. Per prima cosa non sono riuscito a capire bene se è stata fatta una perizia calligrafa, e se è stata fatta sicuramente non ha evidenziato la profonda differenza della firma sul foglio con quella originale di Luigi Tenco, due cose del tutto diverse senza neppure un piccolo elemento di compatibilità.
La lettera contiene un errore ortografico che una persona preparata come Tenco non avrebbe mai fatto, ovvero, sul foglio si legge “selleziona”, al posto della corretta parola “seleziona”.
Studi approfonditi sul foglio, lasciano pensare che lo stesso sia il secondo foglio di una lunga lettera che Tenco aveva preparato, come promemoria, per la conferenza stampa che l’indomani avrebbe voluto convocare, come tra l’altro accennato dalla fidanzata Valeria. Infatti, da accurati esami del foglio si evidenzia la presenza di solchi lasciati dalla scrittura su un altro foglio sovrapposto, e da quei solchi sono ricostruibili due parole, ovvero “rintracciate” e “gioco”, compatibili con l’ipotesi detta dalla fidanzata, di voler indicare i nomi delle persone che gestivano il gioco delle scommesse clandestine. Fatto sta che non esiste traccia di una perizia di parte sulla firma di Tenco. Ma la cosa ancor più strana è che nei verbali della Polizia Scientifica non c’è traccia del rinvenimento della lettera nella stanza dove si rinvenne il cadavere, la lettera sembra che sia stata consegnata da altre persone. Infatti così è, Dalida è stata la prima ad entrare nella camera 219 di Tenco ed ha prelevato quella lettera sventolandola come la prova del suicidio. Circa 40 minuti dopo, Domenico Modugno, si reca nella camera di Dalida, la nr. 104, dove si trovava con il suo ex marito, mostra a Modugno la lettera dopo di che ,la consegnerà al Commissario Molinari. Questo che ho detto si ricostruisce dalla testimonianza di Domenico Modugno. Quindi, la lettera di addio di Tenco, prova principe per giustificare il suicidio, è stata trovata, trattenuta per diverso tempo e poi consegnata da Dalida e l’ex marito.
L’arma presumibilmente usata per il suicidio è il vero giallo, l’enigma più spaventoso di tutta la vicenda. Premessa, la pistola Walther PPK cal. 7.65 di proprietà di Tenco viene rinvenuta all’interno del cruscotto dell’autovettura dello stesso, questo si evince dai verbali di perquisizione e dalle foto della scientifica. La pistola sotto i glutei del cadavere, quindi, di chi era? Che pistola era? Qui è complicato spiegare senza rischiare di perdersi; una perizia balistica stabilisce che la pistola fotografata sulla scena del crimine non è compatibile con una Walther PPK, bensì come una Beretta, cal. 22 o 7.65, modello ’70; a fronte dei rilievi fotografici che presentano sulla scena del crimine una Beretta mod. ’70, dai verbali di sequestro, come arma del crimine, risulta la Walter PPK cal. 7.65 che in realtà era stata rinvenuta nell’auto di Tenco; esiste il sequestro di una sola pistola. Molto velocemente, gli elementi che hanno portato all’identificazione della pistola rinvenuta sotto i glutei del cadavere sono, il fondello del caricatore, il ponticello del grilletto, il tipo di grilletto e l’angolazione della canna rispetto al castello e calcio, non ci sono dubbi, la pistola sulla scena del crimine era una Beretta.
Altra forte anomalia è il calibro del proiettile che ha ucciso Tenco. Sulla scena del crimine non viene rinvenuto nessun bossolo, non esiste traccia nei rilievi della scientifica e sui verbali di sequestro di un bossolo esploso; non viene rinvenuto il proiettile, l’ogiva, perché pensarono che era stato trattenuto nella testa di Tenco quindi non si cercò nella stanza il punto d’impatto del proiettile e lo stesso proiettile. Alcuni anni dopo, per magia, viene rinvenuto un bossolo, all’interno di una scatola, che fu identificato come quello della scena del crimine di Tenco. La perizia balistica sul bossolo, a confronto con uno sparato dalla pistola rinvenuta nell’auto di Tenco e sequestrata come quella della morte, ha dimostrato l’incompatibilità del segno impresso dall’espulsore, dove sul bossolo della Walther PPK ha una forma di semicerchio e sul bossolo misteriosamente rinvenuto l’impronta è triangolare, segno identificativo riconducibile ad una Beretta. E’ chiaro, l’arma fotografata sulla scena del crimine non è la Walther PPK di Tenco, il bossolo misteriosamente ricomparso non è stato sparato da quell’arma ma da una Beretta. Quindi la deduzione è semplice, non è mai stata trovata l’arma che ha ucciso Tenco, salvo che qualcuno non si sia rubato la Beretta che stava nella camera nr. 219.
Prima di continuare con le castronerie delle indagini devo riprendere quelle che avevo presentato come figure ambigue. Il commissario Arrigo Molinari è risultato iscritto alla Loggia P2 con tessera nr. 767, colluso con i servizi segreti SIFAR e partecipante all’operazione “Gladio”. In una trasmissione televisiva, nel 2004, dichiarò: ”Indubbiamente non è stato un suicidio… lo posso dire con sicurezza…è stato un omicidio collettivo… bisognerebbe fare chiarezza”. Lui, che aveva condotto le indagini, che aveva fatto rimuovere il cadavere e che poi l’aveva fatto riportare dice questo….. il Commissario Molinari, all’età di 73 anni, dopo circa un anno da quella trasmissione televisiva, viene trovato senza vita nel suo albergo ad Andora (SV), accoltellato in circostanze non chiare. Sarà stata l’eliminazione di un testimone pentito diventato pericoloso?
Poi avevamo Lucien Morisse, ex marito di Dalida, titolare di una potente casa discografica, che sembrava avere vicinanze e collusioni con la malavita, mafia marsigliese; lo stesso, anche lui in modo molto discutibile, viene trovato morto, dicono suicida, l’11 settembre del 1970, tre anni dopo la Morte di Tenco, e diciassette anni dopo, il 5 maggio 1987, anche Dalida morirà suicida, dicono, con un’overdose di barbiturici, cosa che aveva già tentato un mese dopo la morte di Tenco. Tre figure particolari, due morte suicide ed un terzo in circostanze misteriose……
Ma torniamo ai rilievi, alle indagini e le loro incongruenze. Nei verbali della Polizia Scientifica, a quanto pare sostituitasi al medico legale visto che non esiste traccia neppure di un’ispezione cadaverica medico legale, viene scritto che non esistono altre lesioni sul capo di Tenco, ad eccezione di quella causata dallo sparo, omettendo di riportare altre due lesioni lacero contuse, un taglio, un ematoma ed un anomalo gonfiore, che sono emerse diversi anni dopo a seguito della pubblicazione di foto inedite del cadavere di Tenco. Dette lesioni non possono essere attribuite alla caduta post morte, perché sono presenti sia nella parte posteriore del capo, che sul viso e non è assolutamente pensabile ad un ribalzo, quindi le stesse trovano una spiegazione più logica in possibili esiti di una colluttazione.
Sui capelli di Tenco, sul volto, sugli indumenti e, soprattutto sulle scarpe, viene rinvenuta della sabbia. Considerando che la spiaggia dista solo 600 metri dall’hotel Savoy, è ovvio che Tenco, prima di rientrare in camera, o esserci riportato già cadavere, era stato in spiaggia dove aveva camminato, si era disteso e rotolato………
L’anomalia più evidente, non perché quelle che ho citato fino ad ora siano di poco conto, avviene nel 2006, quando per la riapertura del caso si procede alla riesumazione del cadavere e viene effettuata per la prima volta l’autopsia. Dall’esame autoptico e rilievi tecnici di criminalistica emergono tre elementi, che contrastano pienamente con la tesi del suicidio.
Il primo riscontro è che il proiettile, l’ogiva, non è stato trattenuto all’interno del cranio ma con una traiettoria senza soluzione di continuità l’ha attraversato; sulla scena del crimine però non è stato ritrovato il punto d’impatto del proiettile e tanto meno lo stesso proiettile.
Il secondo elemento è che relativamente alla posizione del foro d’ingresso e quello d’uscita, si evidenzia che il colpo è stato sparato dall’alto verso il basso, allineamento poco compatibile con l’ipotesi suicida.
Terzo elemento deriva dall’indagine di ricerca dei residui dello sparo cosa non fatta nel 1967; premessa, come avevo già spiegato in precedenti articoli, i residui dello sparo sono piccolissime particelle metalliche, quindi materiale non degradabile, di conseguenza rilevabili anche a tanti anni di distanza. L’esame ha riscontrato che in prossimità del foro d’ingresso erano presenti le tre particelle tipiche che identificano lo sparo, antimonio, bario e piombo; sulle mani di Tenco, invece, sono state riscontrate, una particella di antimonio nella mano destra e due sempre di antimonio su quella sinistra. La sola presenza di particelle di antimonio non è compatibile a sostenere che la mano abbia sparato; l’utilizzo di un accendino, e Tenco era un gran fumatore, rilascia sulle mani particelle di antimonio, idem se si è toccata una pompa di benzina per il rifornimento. Questo terzo elemento può far dire con estrema precisione e fondatezza, che la mano di Luigi Tenco non ha sparato.
Gli aspetti che ho presentato meritavano di ulteriori approfondimenti, come altri diversi aspetti, tutti a favore della tesi omicidio, che non ho citato, per fare questo avrei dovuto scrivere altre lunghe pagine, penso che quelli che ho elencato, siano sufficienti a fare un chiaro quadro della situazione.
Come avrete ben capito gli elementi che portano ad escludere l’ipotesi del suicidio sono tanti, ed ancor più quelli che, al contrario, portano a ritenere che Luigi Tenco sia la vittima di un omicidio.
Ma per parlare di omicidio servirebbe trovare dei moventi, ed analizzando la vita e la persona di Luigi Tenco, possiamo trovarne almeno tre, ovvero, “gelosia”, “denuncia per le scommesse clandestine” e “persona pericolosa per le sue idee rivoluzionarie”. Ipotizzando oltre si potrebbe pensare che con “una fava sono stati presi tutti e tre i piccioni…..”.
L’ex marito di Dalida, Lucien Morisse, era sicuramente geloso della relazione amorosa tra la ex ed il cantante; lo stesso era vicino alla malavita/mafia marsigliese; la mafia marsigliese gestiva le scommesse clandestine per il Festival di Sanremo; Tenco voleva denunciare il giro di scommesse clandestine; a breve Tenco sarebbe stato inserito nel Partito Socialista Italiano come figura di spicco; il cantante era inserito nella lista nera del SIFAR e la Loggia P2 in collaborazione con Gladio, dovevano eliminare i dissidenti pericolosi di sinistra; eravamo nel pieno delle attività del “piano solo”, il progetto che doveva eliminare l’Italia dal comunismo; non si poteva correre il rischio che un dissidente di sinistra, rivoluzionario, vincesse il Festival di Sanremo per poi mettere la sua faccia nella propaganda politica del Partito Socialista Italiano; non si può escludere la conoscenza tra esponenti del SIFAR, della Loggia P2 e di Gladio con esponenti della malavita marsigliese……”aiutiamoci, tutti abbiamo un nemico da eliminare e se si uniscono le forze, gli aiuti per ogni campo di specifica competenza, simulazioni, sceneggiate, depistaggi, indagini ben manovrate, influenze mediatiche, persone violente ecc. possiamo arrivare allo scopo, mettere a tacere una persona scomoda……”
Esagerato pensare tutto questo? Può darsi, forse sono andato oltre, forse ho ricostruito un castello fantasioso, ma a fronte della fantasiosa favola del suicidio di Luigi Tenco, penso che qualsiasi altra fantasiosa favola sia accettabile e magari anche credibile.
Il caso Tenco era stato chiuso come suicidio, riaperto anni dopo e chiuso di nuovo come suicidio. Ad oggi il Caso Tenco è archiviato come suicidio.
Accattoli Gabriele
1 commento
bello. A tale proposito, ho appena visto in TV un documentario: hanno mostrato, nei pressi della stanza di Tenco al Savoy, la scatola di una Walter PP. Non ha senso!
Se poi la pistola che sparò, non era quella di Tenco, allora, andare a recuperare quella scatola, magari nel bagagliaio dell’Alfa Gt del morto, sa proprio di depistaggio! Preciso che sono sicuro in quanto ho potuto fare un fermo immagine