All’ultima trasmissione radiofonica di Radio Erre che ho partecipato, con il Direttore Asterio Tubaldi, due ascoltatori intervenuti in diretta, mi avevano chiesto di parlare di due morti molto sospette che a tutt’oggi ancora fanno discutere, ovvero Marco Pantani e Luigi Tenco.
Due storie ricche di particolari, di discutibili scelte, discutibili riscontri investigativi, di accertamenti di criminalistica ed altrettanto discutibili risoluzioni del caso. Oggi inizio dalla storia e morte del “Pirata”, Marco Pantani e la settimana prossima del cantante Luigi Tenco.
Prima però di entrare nella discussione della storia, devo fare delle opportune precisazioni. Da commenti in calce ai miei articoli, nonché contatti in privato, cose che apprezzo notevolmente perché danno comunque l’input ad approfondire storie o trattarne altre di interesse, ho percepito delle difficoltà a comprendere quanto scrivo e come pongo le questioni, perché, secondo me, sfuggono due cose molto particolari. La prima, quella più blanda, ma non di poco conto, è che si trova molta difficoltà a trattare un caso di cronaca senza aver avuto la possibilità di consultare gli atti d’indagine e quelli processuali, dovendosi basare, solo, su quello che gli organi di stampa riportano nelle loro trasmissioni o nei loro articoli; c’è sempre il dubbio che non tutto venga detto, che possa essere detto travisando l’intento dell’accusa o della difesa, e che comunque tanti riscontri investigativi non sono alla portata conoscitiva di chi scrive, e di conseguenza eventuali deduzioni poi tratte da me nella mia presentazione potrebbero risultare false o inattendibili, e per non incorrere in questo, ovviamente, sono costretto per onestà intellettuale a non trarre conclusioni certe.
Il secondo aspetto riguarda una questione molto particolare, la forte confusione e discutibile impiego di figure professionali al posto di altre. Oggi, forse per la martellante pressione mediatica di talk show, di film, telefilm e serie televisive, qualcuno ritiene che la figura del “criminologo” in ausilio al difensore sia risolutiva e di ottima scelta. Ma purtroppo sfugge, a tanti, cosa sia veramente il criminologo e quali sono i campi d’impiego della sua attività. Secondo una definizione di massima, da manuale, il criminologo ha per funzione lo studio dei fatti, quello degli autori del reato e quello dell’indagine sulle diverse forme di reazione sociale alla criminalità; con lo studio della personalità della vittima va a completare il cerchio delle sue ricerche. Un’altra teoria dice che l’attività del criminologo ha l’obiettivo di valutare la genesi del comportamento o dei comportamenti criminali, individuarne le possibili cause, nonché svolgere una prognosi circa possibili recidive. Un’ulteriore visione dell’attività del criminologo dice di poter prevedere tra le possibili tipologie di consulenza criminologica quelle connesse con le scienze investigative, suggerendo che il criminologo possa operare come ausiliare della Polizia Giudiziaria nel coadiuvare le indagini per interpretare le modalità esecutive di un’azione criminosa, per valutare l’attendibilità o meno di un teste o dell’indagato sottoposto ad interrogatorio, ed infine per delineare il profilo dell’ipotetico criminale, ovvero il criminal profiling che in tanti articoli ho trattato e presentato.
È chiaro che l’attività del criminologo deve avere alla base una preparazione di studi particolari in campo psicologico e psichiatrico con master ed approfondimento in materia di criminalità. Pensare che tutti i criminologi abbiano poi esperienze, conoscenze e capacità in materie scientifiche di criminalistica, in tecniche investigative, come improntare un’indagine di Polizia Giudiziaria, quali accertamenti tecnici siano più appropriati, verificare la genuinità degli accertamenti tecnici svolti e produrne degli altri, potrebbe andare oltre le possibili capacità da attribuire ad una singola figura. È qui che purtroppo, secondo me, si va a creare una non sempre valida attività di contrapposizione delle parti, accusa, difesa ed offesa, facendo ricorso, in particolare da parte dei legali, a figure, a sole figure, che sembrino poter coprire tutto, ma che poi, di fatto, potrebbero essere mancanti di quelle aree operative di specifica competenza di altri.
Tutto questo va riportato nella procedura penale, in particolare deve essere collocato all’interno del cd “giusto processo”. L’articolo 111, comma 2, della Costituzione Italiana, poi pienamente applicato con la riforma del Codice di Procedura Penale del 1989, prevede che ogni processo venga svolto nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale.
Quando si dice che il magistrato ha fatto delle scelte, forse, non giuste, ci siamo mai chiesti se ai riscontri probatori presentati dall’accusa sono stati contrapposti da altri, non solo intuitivi, ma veri riscontri scientificamente provati, capaci ed efficienti a contrastare, in seno al giusto processo, quelli in possesso dell’accusa? Sì, tante volte è avvenuto, tante volte la difesa o il rappresentante legale della parte offesa con le loro prove hanno contrastato ed annullato la costruzione accusatoria, ma spesso, stante a quello che leggo e sento, purtroppo, la mancanza più marcata viene proprio dall’incapacità o comunque poca fermezza, nel cercare, trovare ed elaborare riscontri probatori certi. Se poi a questo aggiungiamo un approccio investigativo macchiato da pregiudizi con indagini influenzate da convinzioni pregresse che vanno a produrre un’ingiusta o non completa raccolta di dati, prove, riscontri ed indagini, la risposta finale del giudice chiamato ad emettere una sentenza diventa difficile e magari non quella corretta.
Ora, anche se so che mi sono allungato parecchio, ma era necessario, presento il caso che avevo accennato all’inizio, ovvero la morte di Marco Pantani.
Salto la Presentazione del campione, penso che non ci sia bisogno di dire chi era e cosa ha dato allo sport italiano, al ciclismo, il “pirata” sarebbe solo un inutile allungamento dell’articolo.
Invece inizio subito con la frase che disse il Funzionario della Polizia che giunse per primo sul posto del rinvenimento del cadavere “giaceva prono, sul pavimento alla destra del letto…..indossava solo un jeans con una cintura di cuoio….tutto era a soqquadro….psicofarmaci e residui di stupefacenti lasciavano immaginare quel che poteva essere accaduto”. È evidente, se si fa un approccio alla scena del crimine con questi pregiudizi e convinzioni, il risultato non poteva essere diverso da quello che poi è avvenuto 55 giorni dopo, ovvero, la chiusura del caso con archiviazione per suicidio.
Il 10 febbraio 2004 Pantani era arrivato a Rimini, proveniente da Milano, a bordo di un Taxi che lo aveva lasciato, probabilmente, nei pressi della casa dello spacciatore. Sembrerebbe che non trovato lo spacciatore, si recò al residence Le Rose dove prese una camera per una notte. Lì resto per altri giorni, uscì dalla stanza solo dopo due giorni per recarsi, di nuovo, a casa dello spacciatore dove acquistò 20 grammi di cocaina. Dopo l’acquisto dello stupefacente, tornò in camera e da lì non usci più, e non ricevette mai delle visite. Questa è la ricostruzione degli ultimi giorni di vita fatta dagli investigatori. Il 14 febbraio successivo, all’interno della camera D5 del residence Le Rose di Rimini, viene ritrovato il cadavere di Marco Pantani.
Il “pirata” veniva da una brutta storia, misteriosa tanto quanto ambigua, un valore dell’ematocrito superiore al consentito, riscontrato dopo una delle tappe finali del Giro d’Italia del 1999. Già questa storia era controversa, a fronte di valori eccessivi riscontrati dal primo esame, successivi esami avrebbero smentito i dati precedenti, andando a delineare una possibile sostituzione di provette ed a far ritenere l’esistenza di un presunto complotto organizzato dalla camorra, per agevolare le vincite in un giro di scommesse clandestine, dove l’eliminazione di Pantani dalla competizione, avrebbe fatto incassare un notevole bottino alle casse della camorra. Ma comunque quella cosa segnò la vita sportiva e di conseguenza privata di Marco Pantani il quale disse “Mi sono rialzato, dopo tanti infortuni, e sono tornato a correre. Questa volta, però, abbiamo toccato il fondo. Rialzarsi sarà per me molto difficile”, e così purtroppo fu.
Andiamo al rinvenimento del cadavere, lo stesso aveva la bocca piena di cocaina, giaceva con il volto immerso in una chiazza di sangue, e presentava una rigidità cadaverica ben consolidata. La stanza era a soqquadro, tutto buttato all’aria e cocaina sparsa in tutta la stanza. L’autopsia stabilirà che Pantani era morto a causa di un edema polmonare conseguente ad un’overdose di cocaina e farmaci, rinvenuti anche nello stomaco. Partirono le indagini con l’ipotesi investigativa di morte come conseguenza accidentale di overdose, che poi portò alla definizione di “suicidio”.
All’inizio non furono prese in considerazioni dei particolari non di poco conto, come ad esempio le ferite rinvenute sul cadavere di Pantani, varie ferite, un bernoccolo, un taglio all’arcata sopraccigliare ed altri tagli circolari sul capo, lesioni che potevano essere compatibili con una colluttazione, cosa poi accettata come tale, solo dopo 10 anni a seguito di una perizia medico legale la quale stabilì che le lesioni erano state causate da terzi. Ma non basta, la stessa perizia medico legale aveva evidenziato la presenza di evidenti segni di trascinamento del cadavere.
Gli investigatori sostenevano, invece, che le lesioni erano opera di autolesionismo e che le tracce di trascinamento erano state causate dal personale medico che aveva effettuato il primo intervento.
Altro particolare è la posizione del cadavere, disteso sul pavimento, bocconi, tra il letto e la parete, aveva le braccia sotto il petto e teneva i pugni chiusi. La posizione è discutibile in considerazione del fatto che si sostenne che Pantani, era caduto e battendo il viso a terra si era procurato un’emorragia per la rottura del naso con l’impatto a terra. Per prima cosa la posizione delle braccia non poteva essere compatibile con un corpo che cade faccia avanti, dove d’istinto le braccia sarebbero dovute essere proiettate in avanti per attutire la caduta o a protezione del volto, poi, molto più importante, l’esame autoptico non ha riscontrato la rottura del naso.
Purtroppo avvennero inghippi anche nello stabilire l’ora del decesso. La prima indicazione, avvenuta dopo l’esame autoptico, stabilì che il decesso era avvenuto intorno alle ore 17,00 del 14 febbraio. Sembra però che la comunicazione di tale riscontro andò persa, infatti, nella relazione finale la morte viene attestata intorno alle ore 12,00 del 14 febbraio con uno scarto possibile di più o meno 30 minuti. Ma i dubbi sull’orario del decesso non finiscono qui, l’orologio al polso del Pantani, un rolex modello daytona, era fermo alle ore 04.55. il blocco dell’orario, per quell’orologio, può avvenire per due motivi, o a seguito di un forte urto o dopo cinquanta ore che resta immobile.
Un elemento che fa pensare alla leggerezza di intervento investigativo, dettato dalla convinzione che si stava operando per suicidio e non si era quindi al cospetto di una “sena del crimine”, si può apprezzare dalle riprese video effettuate durante il sopralluogo di Polizia Scientifica; dove si vede a spasso per la stanza, personale in abiti civili, senza dispositivi di protezione personale, senza pensare che quei comportamenti, fuori dal protocollo d’intervento, potevano causare un’alterazione ed un inquinamento della scena del crimine.
Secondo fonti testimoniali, quindi, Pantani uscì una sola volta dalla stanza, e non ricevette nessuno, ma è stato veramente così? Se si prende in considerazione l’ingresso principale, potrebbe anche essere vero, ma non è forse stato considerato che esiste un passaggio secondario che dall’autorimessa conduce direttamente agli alloggi, quindi eventuali ingressi ed uscite potrebbero avvenire senza controlli o riscontri. Di poco aiuto sono state le telecamere di sorveglianza del residence, che riprendono anche questo ingresso secondario, ma in quel giorno, purtroppo, non erano funzionanti.
Tanti altri piccoli elementi vanno a complicare una questione probabilmente così semplice come improntata: secondo un testimone, sentito a verbale, al centro della stanza c’era il lavandino, mentre dalle riprese video della Polizia quel lavandino non è presente dove indicato, ma si trova nel bagno; Pantani, secondo fonti testimoniali era arrivato al residence senza bagagli, una sola busta con i medicinali, ma all’interno della stanza furono rinvenuti tre giubbotti; all’interno della stanza furono rinvenuti dei resti di cibo “cinese” da asporto, potrebbe essere di poco conto il fatto che sembrerebbe prospettare il poco gradimento di Pantani per quel tipo di cibo. La cosa più incisiva è che in fase di esame autoptico nello stomaco dello stesso non fu rinvenuta traccia di cibo cinese; dagli accertamenti tecnici sull’utenza telefonica del cellulare del Pantani e dal centralino del residence non risultano chiamate verso attività commerciali che consegnano a domicilio quel cibo; dal cellulare del Pantani, tra le ore 13 e le ore 20 del 14 febbraio, si evidenziano diverse chiamate, che, secondo i riscontri fanno capo a colloqui con il fornitore di droga, con lo spacciatore ed altri numeri ai quali non è stato possibile attribuire il nome dell’utente. Secondo gli accertamenti Pantani, per due volte quel pomeriggio, avrebbe chiamato la reception del residence per far intervenire i carabinieri in quanto vittima di minacce, questo risulta anche dai verbali, però, inspiegabilmente, a tali richieste non fu dato seguito, infatti l’addetta avrebbe contattato la titolare, con la quale concordava di non chiamare nessuno, però invitava la dipendente a controllare. La dipendente andava alla porta della stanza di Pantani, era chiusa, bussava e nessuno rispondeva. Inspiegabilmente, alcune ore dopo, alle 20.30 circa, ritorna alla camera, apre la porta e trova il cadavere di Marco Pantani.
Già le questioni evidenziate potrebbero essere sufficienti per far venire dei dubbi, fondati, ma non basta. Lo spacciatore di fiducia del Pantani, intervistato in una trasmissione televisiva disse: “Marco non è morto per la cocaina. Marco è stato ucciso. Non sniffava la roba ma la fumava e in quella stanza del residence c’è solo traccia di cocainomani che sniffavano. Chi ha creato quella situazione non era informato bene…”. Ma non basta, lo stesso riferì “Marco aveva prelevato ventimila euro per pagare una nuova fornitura di cocaina e per dei vecchi debiti che aveva con me. Quei soldi non sono mai stati ritrovati nella stanza. Bisogna seguire la pista di quei soldi.”
Avevo già detto che la stanza era stata rinvenuta a soqquadro, una stanza devastata da una furia sotto l’effetto di droga e farmaci, ma in verità, non sembra proprio essere così, ovvero, come è stato riportato da alcuni giornalisti, la situazione della camera era stata rinominata come “un disordine organizzato”. Tante cose stavano a terra, ma sembrava come se fossero state appoggiate, di fatto nulla era rotto, ma tutto adagiato con cura, in bagno, ad esempio, si rinviene la specchiera divelta dal muro, ma appoggiata a terra ed integra, è strano pensare al delirio psicotico di una persona.
Tante, purtroppo le incongruenze, cose poco chiare o non adeguatamente approfondite, ma è normale e scontato, se si parte con l’idea che si sta di fronte ad un suicidio, questo è quello che poi si ritrova. Le indagini sono state riaperte, poi richiuse, forse riaperte ancora, ma ormai si dovrebbe lavorare solo su quanto è stato raccolto all’epoca dei fatti, praticamente poco. Tanti elementi importanti che potevano essere raccolti sulla scena del crimine sono andati definitivamente persi, non a caso il residence Le Rose di Rimini non esiste più e quelle indagini tecniche che si potevano fare sul posto sono andate rovinosamente perse. Dalla ricostruzione che hanno fatto i giornali è palesemente evidente, o così dovrebbe essere, che Pantani in camera non era solo, non è vero che si era ritirato in autoisolamento per quattro giorni, negli stessi giorni aveva anche occupato una camera di un altro hotel, chi c’era con lui? Una risposta, forse, poteva darla un’indagine dattiloscopica, una ricerca di impronte sulla scena del crimine, ma non mi risulta sia stata fatta. Alcune testate giornalistiche hanno detto che la telecamera che riprendeva l’ingresso secondario quel giorno non era in funzione, ma i giorni prima? Secondo il tecnico incaricato dalla Procura, non è stato eseguito un esame tecnico, un esame forense, sul sistema di registrazione. Accertamento che poteva verificare se Marco era mai uscito, come dissero gli inquirenti o se fosse uscito, come dicono altre testimonianze, e se sì, con chi era rientrato in camera? I resti di cibo cinese da asporto, non risulta sia stata fatta un’indagine per stabilire dove quel cibo fosse stato acquistato e da chi, non risultano dal tracciato telefonico del cellulare di Pantani o dal centralino del residence contatti telefonici per ordini, quindi, ha comperato lui quel cibo che a quanto pare non gradisse? E se non lui, chi l’ha comperato e portato nella camera di Pantani? Abbiamo poi il traffico telefonico in entrata ed uscita dal cellulare tra le ore 13 e le ore 20; fermo restando che stabilire l’ora esatta del decesso potrebbe avere dei disguidi tecnici, quindi che non sia stata definita con cura se avvenuta intorno alle 12 o intorno alle 17, se pur strano, ma ci può stare, ma accertare che dal telefono di Pantani esistono chiamate dopo le ore 17, fino alle ore 20, significa che in quella stanza, dopo il decesso di Marco, ancora c’era qualcuno, e se fosse stato lì a cercare quei famosi ventimila euro dei quali ha parlato il testimone? La cosa dimostrerebbe pure il disordine organizzato, lo spostamento delle cose alla ricerca di qualcosa, dalle riprese della Polizia Scientifica si osservano addirittura pannelli del controsoffitto spostati, un’apparente situazione di perquisizione alla ricerca di qualcosa…….e magari si spiegherebbero pure le famose lesioni che gli accertamenti hanno attribuito come opera di terzi, cioè qualcuno che cercava qualcosa contro la volontà di Pantani. E’ stato fatto un accertamento per verificare l’esistenza di quel movimento bancario? Poi c’è la discussa “pallina” di cocaina rinvenuta vicino al cadavere di Pantani e tracce di cocaina per tutta la stanza, cosa che i primi soccorsi e testimoni che sono arrivati per primi sul posto, compreso il personale del 118, negano l’esistenza e la presenza. A tal riguardo sarebbe stato interessante, se non importante, verificare, ad esempio, se sotto le unghie di Marco fossero presenti tracce di epidermide dell’ipotetico aggressore, per isolarne il DNA e dare una visuale diversa alla situazione, ma questo non risulta essere stato fatto, o quanto meno non se ne trova traccia di un possibile esame del genere, come non si trova traccia di eventuali ricerche ed esami di tracce biologiche sulle lenzuola di tutti i letti della stanza.
Qui mi fermo, non smetterò mai di dire che se si parte con il piede sbagliato nelle indagini, dando per scontato presunzioni e convincimenti propri, non si farà mai tanta strada e si rischia di perdere la via maestra per addivenire ad una sicura verità, d’altro canto, se la controparte, non ha i mezzi, le capacità e le conoscenze giuste di investigazioni e criminalistica, la frittata è fatta, cotta e servita.
Un ultimo appunto, secondo me, per la mia visione scrupolosa dei rilievi, di importanza fondamentale, ho rivisto con attenzione le riprese dei rilievi video effettuate dalla Polizia Scientifica. Al di là dell’evidente esigenza che l’operatore sia istruito meglio, non applicando neppure minimamente il famoso e consolidato modo di riprendere per video di Polizia Giudiziaria, dal generale al particolare, da destra a sinistra, dall’alto verso il basso, ma in particolare più volte ha iniziato a documentare degli accertamenti senza seguire tutto l’iter, due in particolare. Riprende l’inizio dell’operazione per la misura della temperatura corporea del cadavere, elemento fondamentale per stabilire l’ora del decesso, ma interrompe la registrazione prima dell’esito finale; riprende l’apertura della cassaforte nella stanza occupata da Pantani, concentra la ripresa nelle fasi iniziali, dove si vede il collega che opera senza guanti, poi quando la cassaforte ancora non è stata aperta, cambia inquadratura ed interrompe la registrazione, per poi riprendere la stessa una volta che la cassaforte era stata aperta senza la continuità della documentazione.
Qualcuno ha detto che la scena del crimine potrebbe essere stata alterata o addirittura, accusa gravissima, modificata, dicendo “…sono entrati cani e porci…era un mercato….” potrà essere vero? Una cosa è certa, sempre visibile dal video della Scientifica, durante lo svolgimento dei rilievi tecnici all’interno dell’abitazione transitavano persone non so a che titolo. La scena del crimine, all’arrivo della Volante del 113 va chiusa ed interdetta e come tale deve restare fino al termine dei rilievi della Polizia Scientifica, l’unico titolato ad entrare è il Pubblico Ministero titolare delle indagini, non sembra che anche questo sia stato osservato, in fondo erano partiti per un “suicidio”.
Ci risentiamo la settimana prossima con il caso della morte di Luigi Tenco, dove pure lì c’è tanto da dire.
Accattoli Gabriele
4 commenti
So che mi ripeto, ma ancora bravo. Una umile proposta, perchè l’Uniper non organizza un corso su questi argomenti, sempre che l’autore sia disposto a fare lezione? Grazie.
No commenti… veramente questi piccoli,per non dire grandi indizi,che ci sono. Milioni di prove ci sono in questa storia, giudicare, è difficilissimo,ma le verifiche danno delle verità nascoste…..logico si saprà mai la verità? Per me come sempre dico è stato ucciso e basta!
Scrivo questi articoli per passione, una passione elaborata in 33 anni di servizio nella Polizia Scientifica. Li faccio per raccontare alle persone alcuni aspetti non sempre evidenziati e con la passione di soddisfare le curiosità delle persone.
Ampliare la mia opera verso altri settori, se c’è interesse, non può che farmi piacere.
Ritengo encomiabile che dopo 33 anni di servizio nella Polizia Scientifica il sig. Accattoli abbia ancora voglia di parlare di argomenti che, penso, facciano venire i brividi anche al più cinico degli investigatori. Non concordo però con la frase …”soddisfare la curiosità”…..La curiosità può anche essere morbosa e penso che non sia così ne’ per il sig. Accattoli ne’ per chi legge. Direi che la passione può essere quella di suscitare qualche ragionevole dubbio in chi legge e qualche briciola di giustizia a favore delle vittime. Dice Orwell che…”le azioni anche se sono prive di effetto non per questo sono prive di significato”.